Intervento sulla proposta di una politica nazionale delle autonomie della Rosa nel Pugno

di PierVincenzo Uleri*

Nel dibattito interno alla Rosa nel Pugno, un tema particolarmente controverso riguarda la decisione di una partecipazione generalizzata alle prossime elezioni amministrative e regionali. La controversia nasce da due storie politico-elettorali assai diverse, se non del tutto opposte, delle due componenti, radicale e socialista, della RnP. Nella storia della componente socialista vi è una lunga e consolidata tradizione di sistematica partecipazione a tutte le elezioni con conseguente insediamento e radicamento territoriale dell'organizzazione, a riconferma del fatto che i partiti, secondo una consolidata tradizione di studi, sono innanzitutto organizzazioni che operano in particolare nell'arena elettorale. Nella storia della componente radicale, dagli anni Settanta in poi, la regola è stata quella della non partecipazione, salvo alcune esperienze particolari, che hanno spesso visto candidato in prima persona lo stesso leader radicale Marco Pannella: a Trieste, a Napoli, a Catania, a Roma.

Unica eccezione a questa regola la partecipazione generalizzata delle Liste Emma Bonino alle elezioni regionali del 2000. Dalle elezioni regionali del 1975 in poi, il Pr ha ripetutamente dato indicazione di voto per le liste del Psi. I meno giovani tra radicali e socialisti, ricorderanno esperienze di liste comuni nelle elezioni comunali degli anni Sessanta. Nel dibattito di queste ultime settimane, fino alla recente assemblea dell'Associazione per la Rosa nel Pugno, promossa dall'On. Lanfranco Turci (Montecatini, 6-7 ottobre u.s.), da parte socialista, l'On. Villetti, capogruppo RnP alla Camera, ha proposto che la decisione sulla "forma partito" e sull'opportunità o meno di partecipare in maniera sistematica alle elezioni amministrative e regionali con liste della RnP sia affidata ad un referendum interno. La proposta ha forse un intento più polemico che non quello di una ricerca volta ad una soluzione positiva del contrasto. È stato, infatti, lo stesso Segretario SDI On. Enrico Boselli a dire che: «Noi siamo un partito, come SDI, radicato in tutto il territorio nazionale con circa 70 mila iscritti. I radicali, generalmente hanno presenze attive e creative, ma non permanentemente organizzate, ed hanno un numero di aderenti poco superiore al migliaio. È del tutto evidente che in un partito di tipo tradizionale si verificherebbe una netta prevalenza numerica dei socialisti che vanificherebbe tutto il processo di costruzione della RnP» (Direzione nazionale della RnP, 22 settembre 2006, in Agenda Coscioni, 1, ottobre 2006, p. 18).

Intervenendo nel dibattito, Gianfranco Spadaccia, già Segretario del Pr negli anni Settanta, poi Senatore e Deputato a partire dal 1979, ha proposto l'urgenza di definire una politica nazionale delle autonomie. Spadaccia ritiene necessario: «costruire le piattaforme unificanti di una politica amministrativa realmente alternativa sui grandi temi che interessano la vita dei cittadini: ambiente, rifiuti, energia, trasporto pubblico, politiche abitative, sanità e assistenza domiciliare: farne i temi e gli obiettivi di una politica nazionale delle autonomie forse sarebbe il modo meno scontato e più opportuno per affrontare questa questione, altrimenti destinata ad esaurirsi nella ricerca di modeste spoglie di potere locale». (Notizie Radicali, 339)

La proposta mi sembra importante, innanzitutto, sotto il profilo del metodo. Per quanto riguarda i contenuti occorre naturalmente evitare il rischio di fare, come in genere accade ai programmi elettorali, un libro dei sogni, nel migliore di casi, una sorta di "lista della lavandaia", nel peggiore. È auspicabile che gli organi dirigenti della RnP si mettano presto a lavorare per definire contenuti specifici e credibili di una piattaforma elettorale degna di una politica delle autonomie. La proposta del ricorso al referendum per risolvere i nodi politici interni alla RnP non pare appropriata per le ragioni indicate dallo stesso On. Boselli. Occorre ricordare che l'esperienza del referendum interno promosso dai socialisti francesi in vista del referendum di ratifica del Trattato costituzionale europeo non è stata certo un'esperienza positiva per la vita interna di quel partito e, soprattutto, se teniamo conto del risultato finale. Meglio farebbero i dirigenti della RnP a valutare l'importanza di una proposta politica per radicare gli istituti referendari nella vita politica delle amministrazioni comunali e del governo locale a livello regionale.

La storia del dibattito culturale e politico sugli istituti referendari risale alla metà del XIX secolo. In Europa, è soprattutto nel solco dei movimenti radical-democratici e socialisti pre-marxisti (specie in Germania e Svizzera) che l'istituto referendario venne proposto come istituto di una democrazia alternativa a quella fondata sulla delega e la rappresentanza. Ma non vi era certo unanimità di vedute. Nelle fila del movimento socialista, a cavallo tra XIX e XX secolo, vi furono accesi dibattuti sulla desiderabilità o meno del ricorso al referendum, sia nel sistema politico che nella vita interna dei partiti. Il partito socialista svizzero ha fatto un uso intenso dello strumento referendario. Theodor Curti, esponente del socialismo svizzero, è l'autore di una storia politica degli istituti referendari in Svizzera pubblicata alla fine del XIX secolo. Toni abbastanza critici contro il referendum espresse il socialista tedesco Roberto Michels, autore di un classico sui partiti politici. Su Critica Sociale, la rivista fondata da Filippo Turati, contro il referendum si pronuncia il giovane Arturo Labriola con tre articoli pubblicati nel 1897 (Contro il referendum, Datanews 1998). L'anno seguente, sulla stessa rivista, in favore del referendum si pronuncia Giuseppe Rensi, giovane militante socialista rifugiatosi in Svizzera per sottrarsi alla repressione seguita ai moti milanesi del maggio 1898. Rensi, anche con riferimento all'opera di Curti, illustra in termini positivi l'esperienza referendaria svizzera, specie a livello cantonale e comunale. Proprio in Svizzera, nel 1902 a Bellinzona, vengono pubblicate nel giro di pochi mesi la prima e la seconda edizione del suo libro intitolato La democrazia diretta (Adelphi 1995), accolto forse con favore più in ambito repubblicano che non socialista. Il libro suscitò grande interesse e un intenso dibattito cui parteciparono, tra gli altri, oltre ad Arturo Labriola, Angelo Oliviero Olivetti, Guglielmo Ferrero e Gaetano Mosca.

Marco Pannella nel suo intervento all'assemblea di Montecatini ha evocato la figura di Antonio De Viti De Marco, insigne studioso di Scienza delle Finanze, radicale liberista e Maestro, assieme a Gaetano Salvemini, di Ernesto Rossi. De Viti De Marco, così come altri radicali in epoca liberale (ad esempio Cavallotti e Marcora), formularono precise proposte per l'adozione dell'istituto referendario (incluso il referendum finanziario di impianto svizzero, specie nei cantoni di lingua tedesca) a livello comunale. Giovanni Giolitti nel 1904 introdusse una forma di referendum obbligatorio per ratificare l'istituzione delle aziende municipalizzate frutto del socialismo municipale. Non è questa la sede per ripercorrere le vicende referendarie in epoca repubblicana e i rispettivi ruoli di socialisti e radicali. Non sono mancati momenti di collaborazione e di scontro tra socialisti e radicali in campo referendario. È noto che la storia radicale è la storia di un gruppo politico che si è configurato come un vero e proprio "partito dei referendum", mentre la storia socialista sente maggiormente l'influenza di una tradizionale diffidenza partitica nei confronti dell'istituto in quanto tale.

I dirigenti della RnP che facendo propria, con spirito di lungimiranza politica e partitica, la proposta di Spadaccia per mettere a punto una piattaforma per una politica nazionale delle autonomie, dovrebbero prestare attenzione anche a questioni che potremmo definire, in senso lato, di natura «istituzionale». Due tematiche sembrano degne di attenzione:

  • 1.«Costi della democrazia e costi delle oligarchie»;
  • 2.«Referendum e Iniziative per il controllo del governo locale».
  • Ho l'impressione, non so quanto fondata, che in "casa Radicale", nonostante ripetute segnalazioni (forse troppo sotto le righe) del Direttore di Radio Radicale, non abbia avuto l'attenzione che merita l'analisi e la denuncia svolta dai senatori DS Cesare Salvi e Massimo Villone nel loro libro «Il costo della democrazia» (Mondadori, 2005). Un titolo più appropriato avrebbe potuto e dovuto essere «Il costo delle oligarchie democratiche». Non saprei dire quale attenzione quelle denuncie abbiano incontrato in casa socialista. Credo che le prime sessanta pagine del libro le avrebbe potute scrivere, con altra verve, Ernesto Rossi. Non so se in sede di finanziaria è possibile fare qualcosa per intaccare qualcuno di quei costi. Il tema «Costi della democrazia e costi delle oligarchie» è un tema ineludibile per un soggetto politico quale la RnP. Una politica nazionale per le autonomie per quanto ben concepita e progettata è destinata a restare lettera morta se non prevede iniziative specifiche e ben mirate per colpire piccole e grandi oligarchie che caratterizzano amministrazioni comunali e governi locali.

    Per quanto riguarda la questione «istituti referendari», mi chiedo se, dalla fine del XIX secolo agli inizi del XXI, i tempi non siano sufficientemente maturi per riprendere e portare a buon fine l'idea della diffusione degli istituti referendari a livello comunale e regionale. Leggo sul Corriere della Sera di domenica 8 ottobre, p. 13, che secondo Gregorio Gitti, portavoce dell'Associazione per il Partito Democratico, a Orvieto «la strada per la costruzione del Pd è stata tracciata nella direzione di un partito aperto alla partecipazione dei cittadini, con il ritorno a strumenti di democrazia diretta come i referendum consultivi».

    È appena il caso di precisare che gli istituti referendari poco hanno a che vedere con una imprecisata "democrazia diretta" e molto invece con la liberale democrazia rappresentativa. Nel quadro di una politica nazionale delle autonomie, i leader della RnP sapranno concepire per i governati strumenti di controllo dei governanti che siano più adeguati che non tremebondi "referendum consultivi"? L'On. Villetti ha proposto il ricorso al referendum per risolvere (malamente, a mio sommesso avviso) la questione forma partito e partecipazione alle elezioni amministrative e regionali. Pannella ama ripetere che la Costituzione prevede due tipi di voto, quello elettorale e quello referendario. Per chi ha a cuore le sorti di una migliore democrazia liberale, forse è il momento di passare dalle parole a specifiche proposte per l'attuazione degli istituti referendari negli statuti comunali e regionali degni del nome Statuto!


    * PierVincenzo Uleri è ricercatore di Scienza della Politica presso l'Università di Firenze, Facoltà di Scienze Politiche "Cesare Alfieri"; si occupa in particolare di analisi comparata del fenomeno referendario nelle democrazie.

    10/10/2006