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Il Messaggero Veneto 09-11-2001

Forza Italia, Carroccio, Cpr e An contro le dichiarazioni dell'ex sindaco di Trieste sulla riforma elettorale

Polo e Lega: no ai diktat di Illy

Il deputato giuliano: il centro-destra vuole il proporzionale per salvare le sue poltrone

TRIESTE - Botta e risposta tra la maggioranza regionale e Riccardo Illy, che ha parlato domenica in un'intervista al "Messaggero Veneto" e successivamente ribadita. A una sfuriata del segretario leghista Beppino Zoppolato, nel corso del dibattito sul referendum, ha fatto seguito un comunicato congiunto dei capigruppo (Marini, Violino, Ritossa e Gottardo). Al parlamentare, già sindaco di Trieste, finito un "principe", che vuole «scegliere i feudatari», si imputano il disprezzo per la Politica, definita spregiativamente "partitocrazia" e la preferenza per le lobbies piuttosto che per i partiti.

«Eletto nella Margherita, ha scelto il collegio triestino per lasciare posto al fidato viceré degli anni trascorsi in Piazza Unità. Entrambi sono confluiti nel gruppo misto, a riprova di cosa intendano per coerenza al mandato», prosegue la nota. «La sinistra si è fatta cogliere dalla sindrome di Stoccolma, e stende il tappeto. Noi non ci faremo influenzare dalle "minacce" o dai "ricatti": se Illy vuole sfidarci sul terreno del referendum, sarà l'occasione, per lui, per misurarsi sul terreno della Politica, nelle piazze e non solo nei salotti o attraverso le pagine dei giornali».

Definendo la norma transitoria, che imporrebbe al Friuli-Venezia Giulia la legge in vigore nelle Regioni ordinarie ("gia fallita"), uno "scippo", «che non ha nulla a che fare con l'autonomia e la specialità», i quattro capigruppo accusano Illy di volere il sistema presidenzialista per sfiducia nella sua maggioranza: «Proprio da questa avrebbe il sostegno ed i voti per governare. Illy mostra di non fidarsi dei suoi alleati, dal momento che gli oppositori non avrebbero i numeri per sfiduciarlo». «Non intendo replicare a cose incomprensibili per i cittadini, e anche per me, espresse con un linguaggio che non mi appartiene, ma qualche chiarimento va fatto», replica l'interessato. «Sul voto per il Parlamento, non so se per ignoranza o malafede, si dimentica che nel caso di doppia elezione l'opzione per il maggioritario è obbligatoria per legge, a favore del primo dei non eletti. E che l'annuncio dell'adesione al gruppo misto l'ho data, con chiarezza e trasparenza, in campagna elettorale».

«Il fallimento della legge elettorale per le Regioni ordinarie, poi, dovrebbero spiegarlo a molti leader del centrodestra, Formigoni in testa», prosegue Illy. «All'evidenza le Regioni che hanno un presidente eletto dai cittadini hanno surclassato quelle che, come il Friuli-Venezia Giulia, hanno un presidente espresso dal consiglio. In visibilità, attenzione da parte di governo e parlamento, risultati amministrativi conseguiti».

«Piuttosto che pensare ai rapporti tra me e l'eventuale coalizione che dovrebbe chiedermi la candidatura, se mai avverrà, la maggioranza regionale ha da considerare le divisioni al proprio interno, che la portano spesso all'immobilismo. Contraddizioni plateali come nel caso appunto della riforma elettorale: basti pensare ai presidenzialisti maggioritaristi schierati per una legge puramente proporzionale», dice ancora il parlamentare del centrosinistra.

«Se saranno così bravi da approvarla, la questione sarà chiusa. In quanto al referendum, lo può promuovere chiunque. Se mi attiverò, sarà da semplice cittadino, con nessun altro ruolo e nessun'altra aspettativa. Ho sempre cercato di lavorare a favore del territorio: prima Trieste, oggi il Paese, e la regione in particolare, e parlo delle legge elettorale in questi termine, non come fanno tanti il cui unico interesse è quello di salvarsi la poltrona per la prossima legislatura», conclude Illy.

«E' proprio questo atteggiamento che mi fa parlare di partitocrazia. Dieci anni fa c'erano i partiti, oggi non più. E la partitocrazia con la P maiuscola - non la politica - si estrinseca nell'affermazione della volontà di pochi, non sempre scelti dalla gente. Mi riferisco ai segretari di partito, che quando sono commissari non sono neppure eletti».

Luciano Santin