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Il Messaggero Veneto 10-02-2002

Nella maggioranza riaffiorano le divergenze sulla legge elettorale: An contesta la Lega. Il senatore: gli ostacoli sono altri

Antonione: togliere i freni allo sviluppo

Illy: ma con un "presidenticchio" rischieremo di finire schiacciati da regioni forti come il Veneto

La legge elettorale pone questioni che riguardano direttamente la governabilità della nostra regione. Perciò vi chiedo: ritenete che il Friuli Venezia Giulia possa o no andare verso il presidenzialismo come hanno fatto le altre regioni? Qual è la forma istituzionale che pensate più adatta per il futuro della nostra regione? Darei la parola a Renzo Tondo anche perché, come presidente della Regione, è investito direttamente da questa questione.

Renzo Tondo: «La società regionale non è omogenea. È il risultato di specificità storico - geografiche diverse e di una realtà tanto composita da prospettare le province dell'Alto Friuli e della Bassa. Una regione così unica, per storia e cultura, è difficilmente "verticalizzabile". C'è, per esempio, da rassicurare la minoranza slovena, uno dei motivi fondanti della specialità. Per questo ritengo opportuna una rappresentanza territoriale, culturale, etnica, in senso proporzionalista: per garantire tutti. In caso contrario rischieremmo di dilapidare un valore come l'unità della regione. Ecco perché preferisco il confronto tra due schieramenti, con l'indicazione del presidente. Il cittadino sa che presidente sarà la persona indicata in campagna elettorale dallo schieramento vincente».

Onorevole Illy, lei ha legato la possibilità di candidare nel 2003 a una legge più avanzata rispetto a quella in gestazione. Cosa ne pensa?

Riccardo Illy: «Comprendo il ragionamento di Renzo Tondo, ma debbo fargli notare che il presidente è rappresentativo di tutta la regione e non di questa o quella parte del territorio. Non vedo dunque perché ci si voglia differenziare dalle altre regioni che pure - come l'Emilia Romagna - non sono omogenee. A prescindere da questo, non vedo perché il cittadino debba essere qui defraudato del diritto di scegliersi non solo il sindaco e il presidente della Provincia, ma anche della Regione. Un'altra precisazione. In caso di decadenza del presidente, con l'elezione diretta dovranno essere indette nuove elezioni. Se invece decade il presidente indicato, il Consiglio ne nomina semplicemente un altro. La differenza è sostanziale. La nostra è una regione piccola, con un non grande peso specifico. Se poi avrà anche un "presidenticchio", il suo peso sarà inferiore. Già oggi rischia di essere schiacciata da regioni forti come il Veneto; figuriamoci se avrà un "presidenticchio"».

Cosa pensa Alleanza Nazionale?

Giovanni Collino: «Crediamo che la regione possa giocare una grande partita nell'Europa. Per questo deve avere un governo forte, oltre che rappresentativo. Per noi, dunque, l'elezione diretta del presidente è prioritaria, uno dei passaggi irrinunciabili delle riforme da noi proposte. Il disegno delineato in commissione è un passaggio intermedio, forse obbligato, perché all'interno della coalizione c'è chi non ha ancora capito che lo sviluppo della regione è legato a una politica forte più che alla logica di garantire il partito del 3-4%. Non sono d'accordo con Tondo quando dice che le diversità si governano meglio con il proporzionale. Una politica che abbia un profilo strategico sa gestire le diversità. Viviamo una fase difficile, dove la mediazione è il prezzo per evitare rotture nella maggioranza intorno a una proposta sulla quale pende la spada di Damocle del referendum. Ci stiamo però confrontando sulla mondializzazione dell'economia, che non possiamo affrontare con un' ottica "condominiale"; ma di grande prospettiva. Per questo ritengo le mediazioni di queste ultime settimane uno stop alla crescita della regione».

Antonione: «Pur avvertendo la difficoltà di contemperare le mie funzioni di rappresentante di questa regione e di responsabile nazionale di Forza Italia ­ per la semplice ragione che l'autonomia regionale passa attraverso la capacità decisionale della Regione ­ ritengo che le riforme istituzionali vadano fatte in un contesto generale. Certo, l'elezione diretta del sindaco e del presidente provinciale ha indotto maggiore stabilità; e quando una istituzione ha più stabilità può programmare il futuro e avere un' autorevolezza diversa. Osservo d'altra parte che l'elezione diretta dei sindaci li porta a preoccuparsi molto più di problemi afferenti la sfera dei loro comuni, piuttosto che di problemi comprensoriali. Tutti, per esempio, vogliono le discariche purché siano fatte in territorio altrui. In passato il sistema dei partiti ricostruiva comunque una mediazione e il contesto generale aiutava ad ammorbidire le spigolosità. Ecco perché simili argomenti, con luci e ombre, vanno affrontati in un contesto generale. Il sistema va pensato complessivamente con pesi e contrappesi. Va fatta poi un'altra considerazione: tutte le riforme sono strumenti, non il fine. Da sola, la riforma costituzionale non è in grado di risolvere i problemi. Questo è il punto; e da qui, dai problemi concreti dei cittadini, bisogna partire. E allora vedo che negli anni '60 il problema non erano i governi che si succedevano l'uno all'altro se poi le cose si facevano. Il problema non sono tanto le regole del gioco, quanto dell'altro. La cosa è evidente quando constatiamo le storture di sistemi istituzionali aggiornati, governatori che non riescono a fare quanto fa Tondo, per esempio. Ecco perché ribadisco che l'essenziale è dare una risposta ai problemi».

Angelo Sette: «A mio avviso l'elezione diretta conferisce più forza al presidente e all'esecutivo per sburocratizzare la regione e semplificarne l' architettura istituzionale. Troppi i 219 comuni, troppe le 4 province. Antonione: «Purtroppo non è facile intervenire su questi nodi. Tutti sono d' accordo sul fatto che i Comuni siano troppi, ma guai a incidervi dall'alto se non per favorire la messa in comune di determinati servizi per avere meno spesa e più efficienza. Agire così produce consenso. Andare invece contro la volontà della gente rende tutto più complicato». Sette: «Per ottenere risorse bisogna sburocratizzare l'attività di questa regione. Insisto che occorre forza per incidere, al di là dei comuni e delle province, su ospedali e università. L'elezione diretta dà forza all'eletto e lo aiuta quindi ad affrontare i grandi disegni dell'internazionalizzazione, della razionalizzazione, degli investimenti finalizzati ad aumentare il valore aggiunto dal quale dipendono le risorse da reinvestire, come avveniva negli anni 60. Credo che personaggi con più forza riescano a incidere di più.

Antonione: Provare per credere.

Tondo: «L'elezione diretta dei sindaci va esattamente in controtendenza rispetto a questo scenario perché li radica molto di più negli interessi particolari della loro comunità. Piero Della Valentina: «Questo è l'eterno dilemma tra efficienza e democrazia. Io però trovo che ogni tanto in questa regione si sia vittime di schemi quali quelli che fanno di certe diversità un alibi per non provare neanche a cambiare, quanto meno per semplificare i circuiti della rappresentanza. Giusto o sbagliato che sia, l'elettore vuole essere sempre più chiamato in causa nel processo decisionale. E allora penso che dovremmo impostare il dibattito sul che fare avendo come obiettivo il sistema più efficace non quello che in questo momento potrebbe essere il più opportuno.

Valduga: «Ritengo che la questione non sia di facile soluzione; certamente ci sono motivazioni che fanno propendere per esiti diversi, però dal punto di vista pragmatico mi pare naturale che noi si vada nella direzione seguita dalle altre regioni, per avere maggiore omogeneità con lo stesso Veneto, quindi verso una semplificazione. Mi sembra peraltro giusto quanto detto dal senatore Antonione a proposito del fatto che le riforme istituzionali devono essere effettuate in un contesto generale. Da qui la necessità di prescindere dalla contingenza.

Antonione: «Nel '92, all'epoca del referendum Segni, il Msi temeva di sparire se fosse passato il maggioritario che invece ha fatto la fortuna di An. Al contrario, la Democrazia Cristiana, che lo appoggiava, è morta».

Collino: «Solo una riflessione. Concordo con quanto dice l'amico Tondo, a proposito delle specificità. Ecco perché, a proposito dei Comuni, non parlerei tanto di fusioni, quanto di accorpamento di servizi. Ma insisto nel credere che il politico ha il dovere di guardare lontano, proiettando la sua progettualità verso un orizzonte strategico. Quando penso alla scelta bipartitica nei due poli è perché dico che se noi non semplifichiamo le rappresentanze, non sapremo corrispondere al meglio alle nuove esigenze del terzo millennio in Europa. Se non lasceremo da parte tutta una politica di mediazione quotidiana, che non ha niente a che fare con la Politica, non riusciremo a interpretare i cambiamenti epocali, a fare le grandi scelte. Concordo anche con quanto diceva il dottor Sette: i "governatori" pesano non solo per il numero di abitanti o di sottosegretari o di ministri che hanno nelle loro regioni, ma anche per il livello di rappresentatività che hanno raggiunto.

Antonione accennava a un no. Perché?

Antonione: «Perché non è così. Contano più o meno a prescindere dal modo con il quale sono stati eletti. Contano per le qualità, oltre che per lo spessore dell'ente che rappresentano. Non solo nella Casa delle libertà c'è un orientamento trasversale che tende a rimodificare l'elezione diretta, ma anche al suo esterno. È un ragionamento trasversale che si sta facendo largo, partito da una riflessione su quanto non funziona in quella legge, è un ragionamento pragmatico, che parte dai problemi. Quanto dice Sette sulla razionalizzazione degli enti locali per avere più risorse, mi trova d' accordo. Ma attenzione: quando diciamo che due università in questa regione sono troppe, almeno per quanto riguarda le facoltà di medicina, dovremmo però sapere quali problemi scaturirebbero dalla chiusura di una o dell' altra».

Sette: «Basterebbe unificarle».

Antonione: «E quale risultato, quali risorse otterremmo? Costi e benefici, in questo caso, non si possono comparare; correremmo il rischio di fare cose poi non ci consentirebbero poi di risolvere i problemi veri. Senza contare che la sburocratizzazione deve cominciare a livello nazionale. Si veda la Fenice di Venezia, per esempio. C'è qualcuno contrario a ricostruirla? No. Il problema non è neanche trovare i soldi perché i soldi ci sono, la volontà c'è, ma la Fenice non si costruisce».

Sette: «Gestire la regione non è tanto diverso dal gestire un'azienda. In questo senso noi vantiamo una cultura di corretta amministrazione, ereditata dagli austroungarici. Facendo quattro conti ho appurato che in regione abbiamo risorse finanziarie disponibili per 20 mila miliardi, di queste si possono spendere 15 mila miliardi, tanto quanto usa la provincia di Treviso. Da qui si capisce quanto sia necessario, e utile, fare sintesi, razionalizzare e unirsi di più».

Antonione: «Da presidente, questo problema, non l'ho mai avvertito. L'ho invece avvertito in campagna elettorale. Per me il vero problema è che non possiamo neanche utilizzare le risorse che abbiamo perché non siamo in grado di utilizzarle con i meccanismi della pubblica amministrazione».

Tondo: «Mi piacerebbe che qualcuno facesse un'indagine per capire se i cittadini del Lazio, piuttosto che quelli dalla Basilicata, avvertono le differenze indotte dall'elezione diretta, se si sono accorti che c'è una diversa operatività nell'amministrazione regionale o in quella dei sindaci, neppure immuni da crisi, si veda a Trieste o a Vito d'Asio».

Tondo e Antonione sono esponenti di un partito che esprime il presidente del consiglio, il primo presidente del consiglio eletto direttamente - sotto il profilo sostanziale se non formale - dai cittadini. Per la prima volta il 13 maggio, infatti, si sono presentati al giudizio degli elettori i due leader di due coalizioni ben sapendo che chi avesse vinto sarebbe diventato il capo del governo; fatto legittimato anche dal Quirinale che ha dato subito l' incarico a Berlusconi. Ecco, in fondo voi siete autori o coautori di un cambiamento che va esattamente nella direzione dell'elezione diretta e adesso vi vedo molto prudenti, molto cauti. Non sarà che vi frena - o vi condizione - la ritrosia di un vostro importante alleato come la Lega?

Antonione: «Non ci condiziona assolutamente il fatto che ci possano essere alleati che la pensano in maniera diversa. È la logica del confronto. E non è vero che io sono contrario all'elezione diretta del presidente; mi pare poi che Berlusconi è stato eletto con un meccanismo analogo a quello dell' indicazione. Ripeto: il nostro paese ha bisogno di altre riforme per accorciare - ad esempio - i tempi delle decisioni nella pubblica amministrazione, incompatibili con i bisogni della società civile. Questo, delle due velocità, è un problema.

Vediamo il Corridoio 5, perché non si va avanti?»

Illy: «Sono problemi che affronteranno Governo e Parlamento. Per quanto attiene l'elezione del presidente della giunta sarà il consiglio regionale a decidere. Ma presumo che la Regione funzioni meglio se l'elezione avviene direttamente. Non dimentichiamo poi la volontà espressa dai cittadini in svariati sondaggi e svariati indicatori come la capacità di spesa, la migliorata efficacia ed efficienza. Questo discorso vale due volte in una regione a statuto speciale come la nostra che ha già molti poteri; quelli per esempio di fare da soli la riforma degli enti locali che potremmo aver già approvato. Ciò va nella direzione indicata prima da Sette, di snellire e di semplificare, di accorpare e di aumentare l'efficienza».

Tondo: «In questa legislatura abbiamo fatto una serie di atti di razionalizzazione che nessuno aveva fatto prima. Perché? Perché c'è la volontà politica di fare scelte di razionalizzazione difficili».

Collino: «Concordo. Però la semplificazione del quadro politico attraverso un presidente eletto direttamente permette a quel presidente di avere una rappresentatività che lo scioglie dai condizionamenti che vengono dalla politica non evoluta che pur lo sostiene. La mentalità di una politica diversa e nuova come quella che è riuscito a rappresentare Berlusconi in campagna elettorale dimostra un desiderio di cambiare. È giusto confrontarsi all'interno del Polo o della Casa delle libertà; però sulle riforme la Lega frena, probabilmente perché crede - per tale via - di garantire meglio una sua presenza. Cosa diversa è la maturità politica della Lega a livello nazionale. In questa Regione esiste una visione della politica discorde con la visione dello sviluppo, anche sulle riforme. Questo confronto deve essere netto e chiaro, se vogliamo portare il Centrodestra a volare alto. A decidere anche dopo un confronto estremamente serrato, ma estremamente progettuale».

Aprirei un altro capitolo sul tema dello sviluppo, a cominciare dalle infrastrutture. Il nostro giornale sta facendo una ricognizione a tappeto con gli imprenditori della regione, e mi sembra che da queste prime interviste emerga una domanda di modernizzazione e di competitività del sistema Friuli, fortissima. Quali sono dunque le questioni che voi ritenete centrali per un processo di questo tipo, quali sono le esigenze che sentite di portare alla Regione, al mondo politico?

Sette: «Il circuito è semplice: bisogna far guadagnare di più l'impresa che deve poi pagare più tasse le quali entrano nelle casse pubbliche per fare più cose. Gli imprenditori non chiedono tanto denaro a buon costo perché l' inflazione ridotta ha ridotto i tassi. Oggi gli imprenditori chiedono energia a minor costo, trasporti intermodali, supporti sulla qualità essendo oggi la sfida tutta sulla qualità. Proprio perché siamo una regione piccola non abbiamo le masse critiche di altre regioni, per cui necessariamente dobbiamo puntare alla "boutique" rispetto al grande magazzino. Cioè dobbiamo puntare a fare cose eccellenti. Quindi dobbiamo fare un'esame molto serio della composizione della nostra società e vedere come possiamo dare quel qualcosa in più che chiede chi produce ricchezza e valore aggiunto. Naturalmente oggi bisogna orientarsi su fattori di ricerca, di formazione, di commercializzazione internazionale. Evidentemente vanno riaggiornati alcuni strumenti, e mantenuti altri, in un confronto dialettico».

Valduga: «Il nostro tessuto industriale sta attraversando un periodo particolarmente critico. Nella nostra regione l'impresa ha una dimensione molto più piccola che nel Veneto, dove già è piccola. Abbiamo pochissime imprese medie, non abbiamo grandi imprese mentre moltissime sono le molto piccole. In un mercato in cui deve fare formazione, ricerca e innovazione, l 'impresa troppo piccola non riesce a stare al passo con la competizione. Di conseguenza, l'intervento sulla dimensione dell'impresa è prioritario addirittura rispetto alle infrastrutture, addirittura rispetto ad altre riforme utili alla nostra economia. La regione può fare molto attraverso Friulia, per fare in modo che in regione, di medie imprese, ce ne possano essere 200, 300, capaci di costituire i punti di snodo di un sistema attorno al quale nascano e crescano altre più piccole. Ma c'è bisogno di un altro intervento volto ad ampliare i settori produttivi in un sistema focalizzato nei settori tradizionali, quelli che richiedono più manodopera di quella oggi disponibile sul territorio. Non è un passaggio attuabile con un colpo di bacchetta magica: bisogna programmarlo. Se riusciremo a portare, in settori innovativi dove noi non siamo presenti, alcune imprese leader, magari con agevolazioni della Regione, innescheremmo un processo virtuoso dal quale scaturirebbero nuovi filoni di indotto che ci permetterebbero di diversificare ulteriormente le produzioni e renderle più appetibili per la tipologia - a elevata scolarità - della nostra manodopera. Nel frattempo dobbiamo risolvere i problemi a breve, come quello della carenza di lavoratori. Dò atto a Tondo di avere preso alcune iniziative nel campo dell'immigrazione utili a tamponare le falle; ma l'impresa ha bisogno non tanto di generici quanto di tecnici. soprattutto di tecnica. Ecco perché è necessaria la formazione; funzionale anche a risolvere il nostro problema dei problemi, quello - accennato - della dimensione d'impresa».

Della Valentina: «Questo di Valduga è un approccio corretto. Tutti noi dobbiamo immaginare cosa può nascere da quello che esiste già, tenendo anche presente che il territorio è un fattore competitivo importantissimo. Da qui due domande di rilevante significato: perché un'azienda che esiste già in Friuli deve rimanere a fare industria qui e un'azienda che invece non c'è dovrebbe venire a investire qui. Tra questi due estremi c'è tutta una problematica, regionale e nazionale, come nel caso della manodopera, che attualmente è il problema principale per il 90% degli imprenditori intervistati dalla Fondazione NordEst. Mi sembra quindi giusto che la Regione possa dire quale sia il numero di immigrati che è in grado di "gestire" e di integrare senza che questo sia demandato a una quota nazionale. «Secondo tema. Cominciamo a fare funzionare correttamente i quattro distretti individuati e creati dalla Regione. E ricordiamoci che il piccolo non è più bello e che molto del nostro futuro industriale si gioca sulla capacità di fare alleanze, alleanze importanti come dice Valduga».

Nessuno di voi, imprenditori, ha parlato di privatizzazioni. Non ritenete possano essere un modo per reperire quelle famose risorse di cui parla Tondo?

Sette: «Sono un fatto transitorio, quest'aspetto dobbiamo tenerlo presente. però la nostra Regione, 20 anni fa, aveva più risorse, proporzionalmente, di adesso. Non aveva allora il carico odierno della sanità che "brucia" il 50% delle entrate, per cui fortunatamente ha fatto degli investimenti. Ha creato le Finanziarie e Autovie che oggi fanno parte del suo patrimonio. Il fatto che oggi si tenda a privatizzare non significa però che si debba privatizzare tutto e subito, anziché nei momenti giusti e con le cautele giuste. Le privatizzazioni, però, producono risorse una tantum, che non si ricreano una volta consumate. Mi riferisco alle partecipazioni della Regione in Mediocredito, in Friulia, in Autovie. Queste partecipazioni si possono raggruppare in un'ente senza doverne creare un altro ex novo. C'è però il tentativo di creare nuove società; a questo riguardo vorrei mi si dicesse quali vantaggi porta una nuova società. Un esempio: se Friulia, che ha risorse per 250 miliardi disponibili, rileva la partecipazione regionale in Mediocredito, la Regione può incassare tot miliardi senza perdere il controllo, che può esercitare attraverso Friulia, nella quale detiene la maggioranza. Controllerà quindi il Mediocredito come lo controllava prima.

Della Valentina: «È meglio però che quei tot miliardi vengano dati all' impresa... sennò chissà dove finiscono». Sette: «Quei tot miliardi sarà la Regione a stabilire se li deve dare alla sanità o alle imprese o spenderli nelle infrastrutture. Il mio è comunque un esempio che dimostra come con operazioni di semplice ingegneria finanziaria si possano trovare risorse senza perdere poteri di controllo. E le nomine, è giusto che vengano fatte da chi ha il controllo. Al riguardo sono convinto che il presidente eletto dal popolo avrebbe già fatto le nomine nei vari enti».

Tondo: «D'accordo con Sette. Penso a una Regione snella, con grandi capacità progettuali. Per questo ritengo che la Regione debba liberarsi di quanto non fa più parte del suo mestiere. L'ho detto al nuovo presidente di Autovie, Melò: "tra un po' ci vedremo e mi dirai cosa bisognerà fare di Autovie". Così su Mediocredito».