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Il Piccolo 05-02-2002

Il capo della Procura Pace racconta l'altra faccia della città, crocevia di traffici illegali che partono da Cina, Filippine, Bangladesh

«Trieste, mercato di schiavi, droga e organi»

«Il porto è un buco nero: vi transitano migliaia di container. Impossibile ispezionare tutto»

TRIESTE - «È un fenomeno del quale abbiamo certezza. Se ne parla in chiaro nelle intercettazioni telefoniche. Il prezzo di mercato di un clandestino cinese è normalmente di trenta milioni di lire. Ogni tanto qualcuno viene trattato a duecento-trecento, perché? Dato che di solito ha le stesse capacità lavorative di un altro, vuole dire che questo 'portatore' ha un valore aggiuntivo: venderanno i suoi organi». Nicola Maria Pace, 57 anni, capo della Procura di Trieste, lo ripete da tempo, ma ogni volta che parla aggiunge qualche tassello in più a supporto delle sue «proiezioni» investigative sul traffico di organi. Lo chiamano giornalisti da tutto il mondo. Squilla il telefono. «Scusi, un attimo...».

«Era il Sunday Time, anche loro vogliono saperne di più». Un altro giornalista attende pazientemente fuori da questa stanza del Tribunale che ospita il procuratore - per questi problemi - più famoso d'Italia». Ma sembra una cosa talmente incredibile... Mi rendo conto che questo tema ha un impatto fortissimo su noi tutti. Non tanto per la cessione pattuita di un organo per motivi economici, ma quando si formulano le ipotesi dell'uccisione deliberata di un uomo o di un bambino per espiantargli abusivamente fegato, reni o altro per poi metterli sul mercato.

Ma ci sono denunce, fatti precisi, concreti?

I grandi fenomeni complessi, come la mafia e il traffico di esseri umani sono fatti talmente ampi e diversificati che non possono essere trattati con la mentalità investigativa di una rapina. Le indagini in questi casi complessi sono sempre precedute da una fase preparatoria. Si acquisiscono elementi informativi, si impiantano le banche dati, si innestano rapporti di collaborazione col resto del mondo. Sto studiando la mafia, poi farò indagini sulla cosca.

Sono dunque, al momento, leggende metropolitane i racconti che parlano di bambini rapiti e trovati dopo un po' con i segni di un'operazione?

Non ci sono al momento riscontri oggettivi, in Italia. Quindici giorni fa però il procuratore di Monaco di Baviera, che sa che mi occupo di questi problemi, mi ha scritto una lettera. Mi informa che ha arrestato un cittadino rumeno che offriva corpi umani ai centri di trapianto. Pare che questo personaggio abbia confessato. Il paese a rischio di «impianto» è la Turchia. Se uno ha bisogno di un fegato «clandestino» pare debba fare un viaggetto a Istambul.

Se andiamo più indietro nel tempo, in Honduras c'erano le cosiddette «case da ingordo (in spagnolo ingrasso)», dove i bambini di strada venivano raccolti e ingozzati di cibo perché gli organi da impiantare fossero più forti e robusti. Altri paesi hanno addirittura bloccato le adozioni internazionali. Celavano traffici di questo tipo.

Ma perché se ne occupa proprio la Procura di Trieste?

Ormai nel settore delle nuove mafie, delle nuove frontiere del crimine, noi esercitiamo una leadership internazionale. In Italia ci sono 26 Procure, dieci di primo livello. Noi siamo tra queste. E' un fatto che ci viene riconosciuto da tutti, anche se all'inizio è stato il caso ad aiutarci. Abbiamo impiantato un sistema tarato sul traffico di persone in base a studi elaborati al Dipartimento di economia dell'università di Chicago. Analizzano la nascita di mercati illegali e stabiliscono la correlazione costante tra la nascita del mercato e l'ingresso della criminalità organizzata. E' una teoria che non viene dalla criminologia, ma dell'economia. Non è un caso che siano gli economisti a dare le migliori indicazioni in materia di crimine organizzato.

C'è stato un trasferimento di malavita?

Il crimine non ha fatto altro che seguire il mercato di clandestini che si stava formando.

Ma perché proprio a Trieste?

Per il confine con la Slovenia. Questo è il centro strategico per tutti i flussi migratori provenienti dall'Est verso l'Europa. Il carattere lento, quasi carsico del fenomeno, rendeva la cosa meno evidente. Gli sbarchi in Puglia o in Calabria erano eclatanti con gommoni e morti annegati, ma dal punto di vista numerico era qui che stava sorgendo il vero «mercato». E' uno snodo fondamentale via terra, e adesso anche via mare. Abbiamo allacciato rapporti efficaci con la Slovenia. Ora dobbiamo stabilirne con la Croazia per chiudere la rete investigativa. Oggi siamo già in grado di colpire i vertici dei grandi traffici internazionali. Quanti ne avete presi finora? Incarcerati e processati 668, molti dei quali condannati a pene definitive. Dove vive fisicamente questa nuova mafia? Abbiamo individuato otto cosche in Slovenia, sette nelle Filippine, altrettante nel Bangladesh, sedici in Cina, alcune in Turchia. Abbiamo scoperto tutta la rete intermedia.

Ma come sono strutturate le bande di trafficanti?

Ci sono tre livelli distinti. Il primo, la cupola, gestisce i singoli flussi etnici...

Dove «abita»?

In Cina con terminali in Italia per il traffico dei cinesi, in Turchia con terminali in Francia e in tutta Europa per i curdi. Ma anche nelle Filippine, in Slovenia. Sono strutture estremamente organizzate. E il secondo livello? Soprattutto nei Balcani. Sono una sorta di subappaltatori. Rilevano una tratta di tragitto e la gestiscono per conto della cupola. Poi c'è la manovalanza. Si occupa dei furgoni, dei dazi, della rete dei passeur. Questi soggetti ci interessano poco. Facciamo indagini molto più evolute, arriviamo ai vertici. Come fate? Solo per i cinesi abbiamo dovuto intercettare 18 mila conversazioni telefoniche, con costi di miliardi. Abbiamo una vasta rete di rapporti internazionali, ma siamo chiamati più a dare che ad avere. A noi i clandestini non interessano, non sono autori di reato. Puntiamo ai grandi cartelli internazionali del crimine. Cominciando prima, abbiamo imparato prima e assimilato un sistema che è un modello di riferimento in Italia e nel resto d'Europa.

Ma dovete conoscere le lingue più diverse, il cinese, l'afghano?

Per questo abbiamo strutture di supporto. Io ho due sostituti procuratori: Frezza e Fadda. Attorno a loro agisce un gruppo investigativo altamente specializzato. I più esperti sono sette-otto persone del nucleo di polizia di frontiera. Poi c'è la polizia giudiziaria che assume informazioni da tutti i clandestini intercettati. Il punto debole delle grandi organizzazioni internazionali è la Slovenia: dice giustamente Frezza che questo stato rompe la compattezza etnica dei grandi cartelli. Qui anche le organizzazioni più agguerrite e meglio organizzate, come i cinesi o i bengalesi devono subappaltare, per cedere un pezzo del viaggio ad organizzazioni diverse. Devono parlare in chiaro, ribadire i concetti. Se riusciamo a intercettare quelle telefonate e quei colloqui possiamo addirittura sapere in anticipo quando devono arrivare, a quale ora. Siamo in grado di fare operazioni «chirurgiche». Se sappiamo che c'è uno sbarco imminente nel Gargano, i nostri operatori di polizia di Trieste partono e vanno sul posto a organizzare la cosa. Quali rapporti hanno queste nuove mafie con quelle tradizionali? Sicuramente hanno rapporti, per esempio, con la Triade cinese. Il solo flusso dei cinesi per via terra a Trieste ha reso 125 miliardi di lire.

Che fine fa questo denaro?

E' quello che dobbiamo scoprire. Io posso contrastare Totò Riina solo togliendogli il patrimonio, non solo incarcerandolo. Se no può tranquillamente dirigere i suoi traffici dal carcere. C'è sicuramente un nesso tra questi capitali e la grande disponibilità finanziaria che hanno i cinesi in Italia. A Trieste si fa man bassa di licenze commerciali, anche di quelle poco economiche.

Quanti sono i cinesi a Trieste?

Non ho i dati sottomano. Mi preoccupa che in questi giorni sta aumentando l'ingresso di minori accompagnati da terzi. Possono essere avviati alla prostituzione, al mercato della pedofilia, ai furti negli appartamenti, all'accattonaggio. E aleggia sempre il traffico d'organi. Come funziona questa «agenzia di viaggi»? Se un cinese vuole emigrare in Europa si mette in contatto con l' organizzazione. Un addetto va a casa sua e lo compra pagando dieci milioni ai parenti. Lo porta in Europa e lo tiene in stato di detenzione, lo sequestra, fino a quando si fa avanti un terzo, che può essere un suo parente, o un gestore di ristorante cinese, che lo riscatta: la tariffa attuale è di 27 milioni di lire. A quel punto è «libero» e l'organizzazione ha guadagnato 17 milioni. E duecento se lo vendono «a pezzi».

Anche per le prostitute funziona così?

Le ragazze vengono prezzate secondo le caratteristiche fisiche e le conseguenti aspettative di reddito: si va dai sei ai sedici milioni. Tutto ciò avviene su un tratto dell'autostrada tra Trieste e Venezia. Guardano i denti, le tette... Proprio come ai tempi degli schiavi... Infatti quando li prendiamo imputiamo loro il reato di schiavitù. Questo mercato noi qui lo abbiamo visto nascere in diretta. Le teorie formulate a Chicago su questo confine sono diventate realtà. I guidatori di taxi, per fronteggiare il mercato, da piccoli artigiani sono diventati imprenditori. La figura emblematica è Loncaric. Era un tassista. Quando ha visto che il taxi non bastava si è ingrandito. Alla fine è diventato il capo di tutta la costellazione di strutture intermedie dei Balcani. Della rete di secondo livello di cui si parlava prima.

Loncaric dice che sono gli italiani a ...

No, gli italiani non pilotano flussi di connazionali, non ci sono flussi di emigranti italiani. Diciamo che ci sono molti soggetti italiani nella rete. Anche i cinesi si avvalgono di manodopera italiana, anche i turchi.

Dunque a Trieste uno entra in un bar e rischia di trovarsi gomito a gomito con grandi criminali?

Trieste ha il vantaggio, paradossalmente, di essere il luogo di ingresso dei clandestini. Hanno tutto l'interesse di allontanarsene subito perché se vengono beccati a Trieste vengono respinti, non espulsi. Siamo una zona di frontiera. Chi dunque si esercitasse a parlare di un problema sociologico o di qualità della vita creato dagli immigrati a Trieste, farebbe solo un esercitazione in chiave politica. Un valore culturale più alto, che è un po' la visione internazionale, non annette alcun disvalore alla migrazione come fenomeno in sè, anzi gli annette valori positivi. Pensiamo alla Magna Grecia, fu l'effetto di un'invasione. La migrazione, se ne è parlato proprio recentemente all'università di Trieste, è un diritto naturale dell'uomo. Un diritto che va regolamentato e che non si può demonizzare. La nostra è un' ottima legge, sia pure da ritoccare e il passato governo dimostrò sensibilità nell'interpellarci.

Il passato governo?

Con l'ingegnere (il ministro della Giustizia Castelli è ingegnere, ndr) non abbiamo contatti né rapporti. Né facciamo niente per averli. La nostra legge non riconnette alcun illecito penale all'ingresso illegale di immigrati. E' un illecito amministrativo, come il divieto di sosta. E' sanzionato con l' espulsione o il respingimento, mentre ricollega sanzioni penali molto forti, tra le più forti del mondo - fino a 15 anni - allo sfruttamento del fenomeno, alla gestione del mercato nero dell'immigrazione. A questa impostazione si oppone quella che, anche in chiave politica e ideologica, tende a ritenere che la migrazione sia un problema criminologico ed enfatizza il pericolo dello squilibrio sociale. Anche la Slovenia si è allineata a noi. La pena per la «tratta» è di nove anni, è già molto.

Dunque a Trieste non «abitano» le cosche?

No. Solo soggetti accusati di favoreggiamento o che fanno parte di organizzazioni straniere, con ruoli secondari. Quindi le cosche cinesi si appoggiano a cinesi che sono già in città? Sono legatissimi tra di loro, sono tutti della stessa provincia o della stessa città. Sono organizzatissimi.

E questi regolamenti di conti al loro interno?

Sono terribili. Praticano anche la tortura per punire gli sgarbi. Regolarmente. Abbiamo intercettazioni in cui vengono riportate torture in diretta. Di loro, e degli altri, ormai sappiamo tutto. Abbiamo gente bravissima e preparata. L'ispettore Paolo Cannattaro, per questi argomenti, è forse il migliore del mondo.

Ma non ci sono soltanto le nuove mafie. Trieste è, come si dice, un porto di mare. Cosa passa in quelle stive, su quei moli?

Il porto è un buco nero. Vi transitano migliaia e migliaia di container. Impossibile ispezionare tutto. I controlli si possono fare soltanto a livello cartaceo. Pensare ad altri tipi di verifica è semplicemente assurdo. Si bloccherebbe tutto. La Guardia di finanza comunque riesce a fare cose straordinarie, con sequestri di droga da Guinness dei primati. Dieci tonnellate di marijuana... I metodi si sono emancipati, le tecniche erudite. Negli ultimi mesi nel porto di Trieste è stata intercettata più eroina di quella sequestrata in tutta Italia. Arriva droga dall'Afghanistan, che sta vuotando i magazzini. Ma la droga ha percorsi più prevedibili di quelli delle persone. La testa di ponte resta sempre uguale. Molti investigatori della Guardia di finanza hanno perso la vita negli ultimi tempi, anche all'interno del porto. Suicidi, incidenti... Nessuno di questi casi ha dato adito a spunti investigativi. La radioattività. Il nemico invisibile e mortale. Anche questo traffico sembra avere Trieste al centro dell'attenzione...

Nicola Maria Pace sorride, come uno studente interrogato proprio sulla materia che ha studiato meglio. Ho passato anni ad affrontare questi temi complessi e difficili. Ancora una volta conta la posizione di cerniera di Trieste e soprattutto il fatto che ci sono molti impianti in dismissione nei paesi dell'Est. Producono grandi quantità di materiale addirittura prezioso dal punto di vista merceologico. Nella tecnologia nucleare si usano i migliori acciai, il migliore alluminio. Materiali di grandissimo valore, se non fossero contaminati. Quindi vengono rifusi e si tenta di venderli a caro prezzo. Purtroppo la radioattività non si distrugge con il calore, resta lì per anni e anni. Carlo Rubbia sta studiando un metodo per risolvere questo grandissimo problema, ma finché lui o un altro non lo avrà trovato un isotopo radioattivo di Uranio durerà in eterno. E questi materiali vengono fraudolentemente inviati agli impianti di rifusione.

Uno di questi è a Servola?

Uno degli obiettivi è sicuramente la Ferriera, ma puntano soprattutto alla zona di Dalmine. Il problema è intercettare questi carichi ed è un problema di radiometria, di misurazione della radioattività. Verificare la contaminazione non è facile per due ragioni: una di carattere normativo e una di ordine tecnico. La prima. La legge dice che è lo stesso importatore che deve verificare il carico. Questo si avvale di tecnici ingaggiati da liberi professionisti e questi magari non sono sempre deontologicamente ineccepibili, se no gli affari si guastano. La seconda, tecnica. La radiometria non è una cosa agevole, il contatore geiger serve solo per le emergenze. Bisogna capire quale isotopo si vuole intercettare e tarare le apparecchiature.

Di quanti tipi sono?

Tre tipi. Alfa, beta e gamma. Quello alfa è il più particolare. Ha una radioattività estrema, con enorme capacità di contaminazione, ma si scherma facilmente. Dura in vita più di tutti gli altri, però basta un foglio di carta per schermare l'irraggiamento. E' difficilissimo quindi individuarlo nella stiva di una nave, è il carico stesso che lo scherma. Quante sono le scorie da materiale ferroso radioattivo? Soltanto dall'Est ne arrivano sessantamila tonnellate, che vagano in un mercato totalmente illegale. Non esiste possibilità di smaltimento. Di queste, due sono di plutonio. Le lascio immaginare cosa sta diventando il Sistema Terra.

E parliamo di scorie...

Sì, i quantitativi di materiali ferrosi non sono calcolabili. Se solo smontiamo un reattore di potenza, o un centro di ricerca, ne estraiamo migliaia di tonnellate di acciaio e di carbonio. Un altro problema è che il contenitore nel quale viene ingabbiato il materiale radioattivo dura meno del contenuto. Figuriamoci che cosa succede se si buttano questi contenitori in mare. E non parliamo di centrali o di bombe nucleari, ma solo del materiale proveniente da impianti civili, centri di ricerca, di cura dei tumori, ospedali, radiologia, studi fotografici.

Un disastro forse non ancora realmente immaginabile...

C'è anche di meglio. Attualmente, per conservare i cibi, si sta sviluppando una tecnica di irraggiamento, di bombardamento neutronico. In questo modo si stabilizza la flora batterica presente nei prodotti alimentari e si bloccano i processi di putrefazione. Fino a oggi questo si faceva con i conservanti. Si sta sperimentando in Giappone, ma anche in Italia. Non so quanto sia legale. Non si racconta molto in giro. Una scatoletta di tonno diventa eterna, non marcirà mai. Però sarà radioattiva, magari poco... Tempo fa il ministero della Sanità fu incuriosito da questo sistema, ma non si può seguire tutto.

Tra una cosa e l'altra quindi neppure Trieste è la cosiddetta isola felice...

Se uno dice che qua si sta bene, che questa è una città tranquilla, è un ottimista e l'ottimismo fa bene, aiuta a vivere meglio. Se lo dice il Procuratore della Repubblica è un cretino, perché vuol dire che non ha visto tutto quello che c'è di sommerso. La micro-criminalità, che è quella che più colpisce la gente, è obiettivamente al di sotto della media nazionale. E' una città ultrapresidiata dalle forze dell'ordine e che si avvale di un assetto sociale estremamente positivo nei confronti dell'ordine pubblico. Un posto facile per chi fa il mio mestiere. Se qui accade una rapina e il rapinatore è stato intravisto, dopo cinque minuti qualcuno si fionda qui e me lo dice. Ma fino a quando non so cosa passa veramente per il porto, dove un giorno sì e uno no si intercettano quintali di droga, devo dire che Trieste ha dei suoi problemi specifici molto grossi. Noto inoltre un grande menefreghismo nei confronti degli altri e questo rende deboli le persone sole.

Voi lavorate soprattutto con l'estero. Visti gli ultimi provvedimenti in materia processuale, si sente anche lei a difendere la linea del Piave come Borrelli?

La legge sulle rogatorie, per noi, è un disastro. Una Procura come questa, che lavora soltanto con l'estero, rischia di non sapere più come andrà a finire la maggior parte dei processi. Mettono a repentaglio tutto per le fisime di qualcuno. Ci sono Paesi che anche volendo non possono produrre i timbri che ora vengono richiesti. Moltissime operazioni investigative le abbiamo fatte sulla base di telefonate e non credo di aver attentato alle libertà dei cittadini... ora un giudice proibirà di produrre questi documenti come prove. Ma è inutile disquisire, si sa qual è l'obiettivo di questa nuova legge. Per salvare qualcuno si mandano a monte anni di indagini.

Fulvio Gon