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Lettera 26-11-2001

Considerare seriamente la questione della legalizzazione.

Dopo l'"offensiva proibizionista" del Messaggero Veneto di mercoledì scorso, si sono rese assolutamente necessarie alcune riflessioni. In particolare, non è in alcun modo accettabile che vengano poste sullo stesso piano marijuana e hascisc con sostanze come l'eroina. Per rispondere a tanta insensatezza è il caso di citare un film del 1964, "Che fine ha fatto Totò Baby?", in cui il Principe, dopo aver mangiato erroneamente un'insalata di marijuana che gli fa rizzare i capelli in maniera abnorme, impazzisce e ne combina di tutti i colori. Mario Soldati, sull'Europeo del 13 settembre dello stesso anno, scrisse riguardo al film che Totò, come tutti i veri comici, "smaschera le ipocrisie e denuncia spietatamente le vanità della società che gli è contemporanea e più vicina".

Pare che alcuni padri della democrazia americana, come George Washington e Benjamin Franklin, coltivassero e fumassero le foglie essiccate di cannabis sativa; recentemente, Bill Clinton ha ammesso di aver fumato uno spinello in gioventù, anche se ha maldestramente cercato di giustificarsi dicendo di non averlo aspirato. Ma nessuno si permetterebbe di definirli, etichettarli come "drogati". Questo è tanto più paradossale in una regione in cui è molto diffuso l'uso (e l'abuso) di alcolici che peraltro, pur provocando dipendenza, sono legali: equivarrebbe quasi ad affermare che tutti coloro i quali bevono quotidianamente il "taj" sono degli alcolizzati.

Inoltre lo "spinello" non ha mai ucciso nessuno, a differenza di alcol e tabacco; senza ricordare le proprietà terapeutiche ed analgesiche, scientificamente provate, della canapa indiana, ad esempio nei casi di sclerosi multipla e di glaucoma.

Ecco allora la necessità di smascherare, come fa Totò che divora la marijuana, le ipocrisie di chi cade dalle nuvole e finge di immaginare che possa esistere un mondo senza "droghe". Solo in quest'ottica distorta, infatti, è possibile ricorrere a politiche proibizioniste, ritenendo che possano avere veramente successo.

Con una "campagna" come quella di mercoledì scorso del Messaggero, traboccante di approssimazioni e carica di furia censoria, si peggiorano le cose, invece di informare correttamente i ragazzi (anche sui rischi che possono correre ovviamente): perché di certo l'educazione e la divulgazione, in questo campo, non abbondano. Così vengono rispolverati i soliti triti luoghi comuni, e scopriamo addirittura di vivere in una città di "tossicodipendenti, di ragazzi e ragazze travolte dal bisogno di assumere sostanze stupefacenti per divertirsi, per ballare, per sopravvivere"!

Poiché anche il Messaggero Veneto si è accorto che in regime di proibizionismo la droga è praticamente libera (apprendiamo che solo a Udine ci sono almeno sette punti di spaccio), perché non cominciare a considerare seriamente la questione della legalizzazione, che porterebbe finalmente ad una regolamentazione e ad un controllo? E' ora di riportare il problema della droga su di un piano pragmatico, utilitaristico, di riduzione del danno, razionale e quindi scientifico, senza aprioristici giudizi morali e falsi paternalismi; il che sarebbe anche l'unico modo di sottrarre alla criminalità organizzata, che ne detiene il monopolio, un lucroso commercio. Anche nel carcere di Udine sono più della metà i detenuti per reati legati al consumo e allo spaccio di droga, e quasi sempre sono i pesci piccoli a "finire dentro".

Per concludere, quindi, vorrei citare il filosofo ed economista inglese John Stuart Mill che, quasi 150 anni fa, nel suo On Liberty, in proposito molto saggiamente affermava: "... i commercianti di alcolici, anche se interessati a che se ne faccio abuso, sono indispensabili ai fini dell'uso legittimo dell'alcool..." e ancora: "Ciascuno è l'unico autentico guardiano della propria salute, sia fisica sia mentale e spirituale. Gli uomini traggono maggior vantaggio dal permettere a ciascuno di vivere come gli sembra meglio che dal costringerlo a vivere come sembra meglio agli altri."

Alessandro Russo