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Il Piccolo 27-10-2001

IL CASO Zagabria, dopo il «caso Zara», sospende le trattative con Roma per l'accordo bilaterale di cooperazione

Italia-Croazia, è guerra diplomatica

Se non ci sarà un chiarimento verrà anche richiamato l'ambasciatore

ZAGABRIA - E adesso Zagabria sbatte la porta. In faccia all'Italia e all'Europa. «La Croazia ha interrotto i negoziati con Roma per l'accordo sul partenariato e amicizia che i due Paesi stanno discutendo da nove anni». Con questo secco e laconico comunicato, letto nel corso del telegiornale della sera, quello con più «audience», il sottosegretario agli Esteri, signora Vesna Cvjetkovic-Kurelec ha annunciato al Paese la frattura nei rapporti bilaterali con l'Italia. La causa della «guerra fredda» in atto è il conferimento della Medaglia d'oro al valor militare all'ultima amministrazione italiana della città di Zara da parte della presidenza della Repubblica italiana. Il tutto alla vigilia della firma da parte di Zagabria del trattato di associazione e stabilizzazione con l'Unione europea, in agenda lunedì prossimo a Lussemburgo.

E se da un lato la Croazia si lega al cordone ombelicale comunitario, dall'altro sancisce uno strappo anche con Bruxelles, perché il trattato in corso di negoziazione con l'Italia avrebbe rappresentato il vero e proprio viatico per condurre Zagabria a un allineamento euroatlantico con l'adesione all'Ue e l'ingresso nella Nato. Ma lo «schiaffo» di Zara proprio non è stato digerito. «La decisione del Presidente Ciampi - spiega il ministro degli Esteri, Tonino Picula - contrasta con i fin qui buoni rapporti bilaterali tra i nostri due Paesi». «Stupore» e «sorpresa», sono questi gli aggettivi usati dal capo della diplomazia croata per esprimere lo stato d'animo con cui Zagabria ha vissuto le decisioni del Quirinale. Stupore e sorpresa anche perché «l'Italia - precisa Picula - è il Paese che negli ultimi venti mesi ha maggiormente appoggiato le nostre ambizioni europee».

Il ministro annuncia poi che il governo croato non si accontenta del rinvio della cerimonia della consegna dell'onorificienza a Zara, inizialmente prevista per il 13 novembre al Quirinale e che chiederà ulteriori spiegazioni. «Speriamo - prosegue - in una revisione di quella decisione, dalla quale dipenderà il livello delle nostre reazioni nei confronti di Roma». Dunque, appare chiaro, che la rottura delle trattative sull'accordo bilaterale di cooperazione rappresenta, allo stato attuale delle cose, solo una prima reazione croata alla decisione del Quirinale. Se i motivi del contendere dovessero permanere Zagabria sarebbe altresì pronta a richiamare il proprio ambasciatore a Roma, anche se Picula si affretta a dichiarare di «sperare che non si arrivi a questo». Poi il diplomatico si fa largo nel cuore politico del ministro. Picula, infatti, smorza i toni polemici per passare a una disamina più generale della questione. E si chiede, a questo punto, se si tratti di un gesto affrettato o sia piuttosto il segno di una nuova linea politica italiana. «Sarebbe un male - spiega - se i cambiamenti politici in uno o nell'altro Paese (chiara l'allusione al nuovo governo italiano di centrodestra ndr.) dovessero porre in questione la stabilità dei rapporti bilaterali». Picula comunque non teme di considerare l'intera vicenda come uno schiaffo alla Croazia, «ma anche - si affretta a precisare - a gran parte del mondo politico italiano».

Per capire l'atmosfera che si respira in queste ore qui in Croazia e quali sensibilità sono state toccate è emblematica la presa di posizione del presidente del gruppo consigliare dell'Hdz (il partito nazionalista del defunto presidente Tudjman e oggi all'opposizione a livello nazionale) al comune di Zara, Davor Arasa. «È una vergogna - si arrabbia - per la cultura europea». «Se gli italiani - prosegue - danno la medaglia a Missoni (sindaco del libero Comune in esilio di Zara ndr.) è come se il presidente jugoslavo Kostunica desse un'onorificienza a Duasan Kalapaca, ex sindaco di Zara, anche lui in esilio, per i meriti ottenuti nei bombardamenti dell'Armata federale jugoslava della città nella guerra del 1991».

La Farnesina, intanto, continua a tacere. E se qualche diplomatico parla lo fa lontano dai taccuini dei giornalisti, rimandando la «patata bollente» al Quirinale e declinando qualsivoglia responsabilità del ministero degli Esteri. Occorre però sottolineare come la trattativa sull'accordo di cooperazione stesse già segnando il passo, ancor prima del «casus belli» di Zara. Zagabria, infatti, aveva rispedito al mittente (l'Italia) l'articolo 9 del trattato che riguardava il processo di denazionalizzazione che doveva, secondo Roma, essere attuato dalla Croazia senza caratteri discriminatori. Ovvero l'Italia voleva che nell'importante processo socio-economico venissero inclusi i diritti degli esuli italiani laddove questi potevano essere fatti valere (leggi restituzione di immobili). La Farnesina però, pur non nascondendo le difficoltà, le ascriveva al normale contenzioso diplomatico che si sviluppa in questi casi tra le parti. Questo fino a ieri. Oggi la «querelle» assume dimensioni ben più rilevanti perché il «gran rifiuto» di Zagabria viene a costituire un intoppo lungo il sentiero tracciato a Nizza dai Quindici nel processo di allargamento a Est dell'Unione e questo anche se la Croazia non è certo nel primo gruppo dei Paesi candidati all'adesione.

Letta in chiave europea, dunque, la «guerra fredda» italo-croata rischia di costituire un freno a quel processo che proprio nel summit di Zagabria del 24 novembre del 2000 l'Ue decise in favore dei Balcani. La cui normalizzazione, si disse allora, passa inevitabilmente attraverso una stabilizzazione della regione mediante un suo «aggancio» all'Ue. E non a caso proprio in quell'occasione, a Zagabria, la Macedonia firmò il trattato di associazione, lo stesso che lunedì si appresta a sottoscrivere la Croazia. Croazia che viene vista a Bruxelles, soprattutto dopo la caduta del regime accadizetiano di Tudjman, una sorta di «grimaldello» con cui scardinare i giochi di potere che si sono instaurati nell'ex Jugoslavia a partire dal 1991 a oggi. L'Italia aveva teso la mano alla nuova Croazia. Ora Zagabria la rifiuta. E le lancette del tempo cominciano maledettamente a tornare indietro.

Mauro Manzin