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Il Messaggero Veneto 09-09-2001

Nell'analisi del segretario della Cgil in evidenza i segnali di crisi del mondo produttivo locale

«L'economia rallenta anche in Friuli»

Pupulin rilancia la concertazione: occorrono misure da inserire nella Finanziaria

UDINE ­ È troppo presto per decretare se questo sarà un "autunno caldo". Ma Paolo Pupulin, segretario confederale della Cgil regionale, è sicuro che si è di fronte ad una fase molto difficile, mentre nulla giustifica annunci di miracoli dietro l'angolo. E auspica un'analisi seria degli effetti di questi segnali di rallentamento sull'economia regionale.

L'impresa locale è impreparata davanti a questa crisi?

«Sarebbe stato meglio intervenire sui fattori determinanti il grado di competitività regionale quando si era in un nucleo espansivo, piuttosto che ora, in una situazione più delicata. I nodi peraltro sono sempre gli stessi che avevamo chiesto di affrontare in un convegno a Trieste un anno fa».

Li vuole ricordare?

«L'innovazione, un sostegno più adeguato alla ricerca, un progetto sulla formazione continua, che non deve essere considerata uno spreco di risorse. A questo si aggiunge la questione del nanismo della maggior parte delle nostre imprese. Sarebbe opportuno un rilancio delle relazioni regione, imprese, sindacati, per decidere misure utili da inserire nella finanziaria per recuperare competitività».

Secondo Lei ci sarà uno scontro governo sindacati?

«La crescita dello sviluppo deve caratterizzarsi sulla qualità piuttosto che sul costo del lavoro, come vorrebbe la Confindustria sostenuta dal governo. E' questo il cuore dello scontro politico e salariale attorno al quale si definirà la caratteristica dell'autunno sul piano dei rapporti soprattutto sociali».

Intende dire che un'intesa è difficile?

«E' evidente che se i presupposti non muteranno ci troveremo a gestire una stagione carica di tensioni e conflitti, non perché li invocheremo come fatto liberatorio come qualcuno vorrebbe rappresentarci, ma per i contenuti della sfida che il governo e la confindustria ci lanciano».

Cos'è che non accettate del nuovo governo?

«Il governo sposa la centralità degli interessi del mondo dell'impresa in contrapposizione a quelli del mondo del lavoro. Deregolamentazione della flessibilità, sostegno all'emersione a favore delle aziende, una generale detassazione degli utili dell'impresa, non c'è niente finora che riguardi il lavoro e il reddito dei lavoratori. La riduzione delle tasse e l'aumento delle pensioni al minimo sono rimaste probabilmente per sempre promesse elettorali».

Non è troppo pessimista?

«Se continua così, ci sono elementi evidenti di attacco al sistema dei diritti e del reddito reale del lavoro, per noi del tutto inaccettabili. Perché prendendo a riferimento un tasso d'inflazione programmata troppo distante da quella reale, si determina una riduzione dei salari reali».

Segretario, pensa che alle imprese e al governo non interessi più il dialogo?

«Sintomatico è stata la chiusura separata dei contratti dei metalmeccanici che noi contestiamo perché non garantisce il recupero del'inflazione reale e la distribuzione di parte degli utili del settore, come prevede l'accordo del 23 luglio, per questo stiamo raccogliendo centinaia di migliaia di firme per richiedere la verifica democratica tra i lavoratori. Un altro terreno di scontro è il superamento dell'art.18».

Crede veramente che lo statuto dei lavoratori sia in pericolo?

«Dopo il tempo determinato, in contrasto con le direttive comunitarie, vorrebbero attuare la possibilità di licenziamenti facili senza garantire la giusta causa in quelli individuali. Dimenticando il referendum in cui il 70% dei votanti ha rifiutato questa ipotesi, che è un falso problema nel mercato del lavoro del Friuli Venezia Giulia. Dove le vere esigenze sono qualità e occupazione».

E cosa pensa dell'intervista dell'on.Fini sulle pensioni di anzianità?

«Quello delle pensioni è un altro tema delicato. Siamo di fronte ad un errore di metodo e a proposte di intervento comunemente non condivise da parte dei sindacati. Si manifesta l'intenzione di intervenire su quelle di anzianità prima, e a prescindere dalla verifica degli andamenti della spesa previdenziale, rispetto alle previsioni della riforma Dini. Si capovolge il percorso che era stato concordato. Poi ci sono i problemi della sanità, della scuola, si manifesta in modo esplicito, vedi la legge 194, un'idea di riduzione dei diritti civili e sociali nel paese».

In questo quadro, teme un depotenziamento del sindacato?

«E' chiaro un tentativo di ridurre il peso del sindacato confederale. Lo fanno intendere le tante dichiarazioni del governo e della confindustria che pensano di poter realizzare questo risultato puntando ad una manovra di isolamento della Cgil che è la più grande confederazione sindacale del paese. E che ha inviato una proposta alle altre per un rapporto unitario sulle scelte della finanziaria e l'individuazione di eventuali forme di mobilitazione, se fossero necessarie».

La Cgil, (120mila iscritti in regione), si sente sotto attacco?

«La polemica sguaiata sul deficit di autonomia della Cgil nasconde in fondo la voglia matta di isolarci. Si sottovaluta l'esigenza di definire regole di rappresentanza effettiva delle singole confederazioni e sindacati compresi quelli autonomi, e invito tutti a riflettere. Questa assenza di norme nell'ambito del privato lascia la scelta dei propri interlocutori nelle mani delle controparti. Inoltre permette che non si vada a una verifica democratica nei rapporti con i lavoratori per sapere se condividono o non una soluzione contrattuale o un accordo che sia stato sottoscritto magari da organizzazioni minori o da sindacati di comodo».

Maria Rita Branca