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Il Piccolo 07-06-2002

Sulla consultazione pesano inoltre i nodi dei rapporti con l'UpT e con gli esuli, oltre alla politica italiana

Connazionali domenica alle urne

Campagna elettorale condizionata soprattutto dalle diatribe campanilistiche

TRIESTE - Domenica gli italiani d'oltre frontiera andranno alle urne per eleggere la nuova assemblea dell'Unione italiana, la massima organizzazione rappresentativa della minoranza. La consultazione si svolge in un momento delicato perchè, nonostante l'enorme lavoro svolto e i risultati ottenuti dall'attuale dirigenza dell'Unione, si avverte la necessità di profondi cambiamenti.

Un dato è certo: l'Unione, negli ultimi quattro anni, ha guadagnato in autorevolezza e presenza sul territorio, e il suo ruolo è ampiamente riconosciuto nei due Stati «domiciliari». Non esiste praticamente documento che riguardi la minoranza che non sia stato discusso e approvato senza il concorso dell'Unione, che ha operato coordinando la propria azione con i due deputati ai seggi specifici e, laddove possibile, con le autorità locali. Riconoscimento attestato dalla cessione da parte dello stato croato della proprietà della Casa editrice Edit, cessione considerata uno dei risultati più importanti incassati dall'Ui. Senza dimenticare le nuove Comunità aperte, le nuove sedi e le nuove scuole realizzate.

Se i risultati ci sono stati, sulla futura Unione pesa la questione del finanziamento (e del funzionamento) delle istituzioni della minoranza. I soldi pubblici garantiscono la sopravvivenza ma non un autentico sviluppo dell'Edit, del Dramma italiano, del Centro di ricerche storiche, delle scuole e delle Comunità. È proprio questo uno dei punti sui quali hanno insistito i candidati, ed è questo il punto che ha fatto emergere le debolezze strutturali dell'Unione. Al di là dei discorsi di principio (tra cui è stata sottolineata la necessità di un maggiore coinvolgimento dei giovani nella vita comunitaria), sui quali non ci sono visioni tanto divergenti, la campagna elettorale ha fatto emergere il prevalere di logiche campanilistiche. L'assemblea dell'Unione rischia cioè di diventare terreno di scontro tra le comunità per ottenere una fetta quanto più grossa dei mezzi messi a disposizione dall'Italia (mezzi senza i quali l'attività della minoranza sarebbe paralizzata) invece che luogo di elaborazione di strategie globali a difesa dell'identità nazionale e culturale degli italiani. In un'assemblea composta da esponenti di tanti «campanili» è difficile inoltre articolare un discorso di opposizione e il baricentro si sposta giocoforza verso la Giunta esecutiva.

Una situazione che si è manifestata e ha generato malumori, che però non si sono manifestati, neanche durante la campagna elettorale, in una chiara opposizione. Non si sono viste denunce. Sono circolate maldicenze, delazioni, volantini anonimi su fantomatici «partiti italiani». Gli unici a esporsi, ben prima della campagna elettorale, sono stati il presidente della Comunità di Abbazia, Piero Nutrizio, con le sue prolisse lettere sulla «Voce», e i revisori dei conti che avevano presentato nel '99 un esposto alla Procura di Trieste, su presunte irregolarità dei dirigenti dell'Unione nella gestione dei fondi provenienti da Roma. Esposto sul quale il magistrato Raffaele Tito non ha ancora trovato il tempo di pronunciarsi.

Ma ci sono altre questioni in gioco: i rapporti tra minoranza ed esuli e il ruolo dell'Università popolare di Trieste. Il riavvicinamento tra esuli e «rimasti», che la giunta uscente ha favorito, dev'essere più coraggioso (come ha esortato il presidente dell'Unione degli Istriani, Silvio Delbello). Per quanto riguarda invece i rapporti Ui-UpT, la situazione è di «tregua armata». L'UpT rivendica il diritto di controllare l'impiego dei denari devoluti dai contribuenti italiani a beneficio della minoranza, l'Unione sostiene che questo controllo non deve mai tradursi in ingerenze e condizionamenti delle scelte che spettano alla stessa minoranza. Ma i contrasti hanno anche una lettura politica: l'UpT è nelle mani del centro destra e la dirigenza uscente dell'Ui è stata qualificata come «ulivista». E certo la politica (quella italiana) condizionerà le scelte di dopodomani.

Pierluigi Sabatti