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Il Piccolo 29-10-2001

Zagabria verso l’Ue, silenzio dell’Italia

Continua a pesare nei rapporti la medaglia d’oro del Quirinale a Zara

ZAGABRIA - Europa, Europa, fortissimamente Europa. La nuova Croazia del dopo Tudjman non ha mai avuto dubbi. Via dalla pazza folla dei Balcani per trovare rifugio nelle calme acque comunitarie. Eppure oggi, giorno in cui Zagabria firmerà a Lussemburgo il trattato di associazione e stabilizzazione con l’Ue, ci sarà in quella cerimonia un convitato di pietra: l’Italia. Già, perché la decisione croata di rompere le trattative sul trattato bilaterale di cooperazione con Roma, a seguito del conferimento della Medaglia d’oro al valor militare all’ultima amministrazione italiana di Zara (1943) da parte del Quirinale, ha fatto riaffiorare sul confine orientale gli scomodi fantasmi del passato.

Alle sentite rimostranze di Zagabria hanno risposto solamente gli imbarazzati silenzi di Roma. Alla Farensina, comunque, si respira aria di incredulità e imbarazzo. Incredulità in quanto Roma non nega di aver investito molto sull’allineamento euroatlantico della Croazia. Imbarazzo in quanto il «gran rifiuto» croato mette in difficoltà la stessa Italia nei confronti degli altri partner comunitari. Insomma, è come trovarsi di fronte a una clamorosa baruffa tra sposo e sposa a poche ore dalle nozze. E per Zagabria l’approccio comunitario, senza quel viatico che sarebbe stato rappresentato proprio dal trattato di cooperazione con l’Italia, appare quanto mai problematico. Non fosse altro per le catastrofiche condizioni del sistema socio-economico e per l’accentuato euroscetticismo che le battagliere opposizioni stanno fomentando. Opposizioni che, guidate dall’ Hdz, hanno già iniziato una decisa battaglia parlamentare contro l’ europeismo del governo guidato dal socialdemocratico, Ivica Racan. Il ministro degli Esteri, il pragmatico Tonino Picula, non si fa illusioni e ammette che la visione dell’orizzonte politico croato sull’associazione all’ Ue è quanto meno «controversa».

Come rimediare? La ricetta di Picula è estremamente semplice e unifrome. «Dialogare - dice il ministro - in modo chiaro e trasparente per fara capire agli euroscettici che non c’è altro futuro per la Croazia se non in Europa». «Per noi - precisa ancora Picula - è poi estremamente importante l’articolo 3 dell’accordo di associazione con l’Ue in cui si esprime chiaramente che i progressi della Croazia per quanto concerne gli adeguamenti agli standard comunitari saranno valutati da un punto di vista strettamente individuale». Zagabria, dunque, non viene inserita in alcun gruppo di merito. Per l’ adesione all’Ue non esistono serie A e serie B. Vale, quello che il commissario all’Allargamento Günther Verheugen chiama il «metodo regata» che, tradotto in parole povere significa: chi prima arriva meglio alloggia. Anche se nessuno lo amette ufficialmente, qui a Zagabria nessuno si fa illusioni: senza l’appoggio dell’Italia tutto diventa più difficile. Perché l’Italia fa parte dell’Intesa quadrangolare con la Croazia, per l’appunto, ma anche con l’Ungheria e la Slovenia. Perché l’Italia ha storicamente un ruolo leader nell’Iniziativa centroeuropea e, sia la prima come la seconda, sono istituzioni che per i Paesi dell’Est costituiscono una sorta di incubatrice che prelude all’ingresso vero e proprio nell’Ue. Ne sa qualcosa l’Ungheria, ne sa qualcosa la Slovenia.

Ma soprattutto oggi la Croazia ha bisogno di un sostegno esterno, in quanto al suo interno la situazione sociale si sta facendo pesante. Sono passati solo pochi giorni dalle manifestazioni di protesta contro il governo Racan che hanno infiammato la capitale croata. Gli ex «valvassori» del potentato accadizetiano si sono messi alla testa della folla. Che non ne può più della disoccupazione, che non ne può più della crisi economica, che non ne può più di promesse non mantenute. «Fratelli in armi - ha gridato in piazza ban Jelacic l’ex generale Ante Roso davanti a 20 mila persone inferocite - i difensori della Patria preferiscono morire sulle loro gambe piuttosto che vivere in ginocchio». «Questo non è l’inizio di un colpo di Stato - gli ha fatto eco l’altro ex generale Janko Bobetko - ma il governo sappia che dovrà fare i conti con la nostra rabbia alle prossime elezioni».

È dunque una Croazia sull’orlo di una crisi di nervi quella che oggi si presenta ufficialmente sul palcoscenico europeo. Un Paese dove la gente, anche i non nazionalsiti, male digerisce la collaborazione del governo con il Tribunale dell’Aja, dove i reduci vivono nella fame e in miseria, dove il risentimento nei confronti di un governo che non presenta alcuna ricetta credibile alla crisi economica cresce di giorno in giorno. Messaggi chiari per il premier Racan, ma messaggi chiari anchi per l’Europa che è ben conscia del fatto che una Croazia debole rappresenta un rischio per l’intera area balcanica.

Mauro Manzin