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Il Piccolo 28-10-2001

CASO ZARA La Croazia cerca di smussare i toni della polemica e ora attende che dall'Italia giunga un segnale di riconciliazione

Zagabria: Ciampi è in buona fede

Dalla Farnesina arrivano commenti increduli per l'interruzione delle trattative

ZAGABRIA - Incredulità mista a irritazione. È questo lo stato d'animo con cui la Farnesina ha accolto la decisione croata di interrompere il negoziato sul trattato bilaterale di cooperazione quale «ritorsione» al conferimento della Medaglia d'oro da parte della presidenza della Repubblica all'ultima amministrazione italiana di Zara. Irritazione perché - dicono al nostro ministero - l'Italia ha investito molto sull'integrazione euroatlantica di Zagabria. Incredulità perché il «gran rifiuto» croato viene anche ascritto a una qual inesperienza diplomatica. «Perché - dicono fonti del ministero degli Esteri - questo non è il modo più razionale di comportarsi alla vigilia della firma dell'accordo di associazione e stabilizzazione con l'Unione europea (domani a Lussemburgo, ndr.)». Di dichiarazioni ufficiali però neanche l'ombra. Tutto viene rimandato al Quirinale. Il quale, a sua volta, tace.

Al silenzio italiano però fa da contraltare l'animosità croata. Ma i toni sono più sfumati, sono maggiormente indirizzati alla volontà di riprendere laddove si è interrotto. Ivica Mastruko, il consigliere diplomatico del presidente della Repubblica, Stipe Mesic, sostiene come «indubbiamente non bisogna dimenticare che al tempo del regime fascista di Mussolini Zara era la 94ma provincia italiana», «ma - argomenta ancora - il conferimento insensato di questa onorificenza 50 anni dopo quei fatti non va ascritto alla nostalgia degli esuli o a una volontà di porre rimedio a delle colpe storiche». Mastruko, che è un po' l'alter ego di Mesic per quel che riguarda le relazioni con l'estero, non vede, dunque, nella decisione di Ciampi una volontà revisionista o neo-irredentista dell'Italia. Del resto proprio Mesic ha parlato di questi temi con il nostro Capo dello Stato solo due settimane fa e, Zagabria lo sa bene, in questo lasso di tempo Ciampi non ha certo cambiato il suo modo di pensare. Quindi la Croazia concede l'attenuante della buona fede, ma certo attende un preciso segnale in questo senso da Roma.

E che non si voglia giungere alle estreme conseguenze lo fa capire anche il ministro degli Esteri, Tonino Picula. Il quale nega con convinzione che «la decisione di conferire a Zara quell'onorificenza sia da collegare in qualche modo al debito che la Croazia ha nei confronti dell'Italia». Il capo della diplomazia croata fa riferimento a quei 35 milioni di dollari che Zagabria deve ancora versare a Roma in base agli accordi di Roma del 1983. «La Croazia vuole onorare i suoi debiti - aggiunge subito dopo Picula - perché questo tema venga definitivamente tolto dall'ordine del giorno dei rapporti tra i due Paesi». Se Zagabria sbatte la porta in faccia all'Italia è altresì vero che lascia spalancata una finestra attraverso la quale ricominciare a parlare e a confrontarsi.

Perchè i temi legati al trattato di cooperazione non sono di facile soluzione. La Croazia ritiene innanzitutto inaccettabile ogni riferimento al suo processo di denazionalizzazione. L'Italia invece tiene duro portando in primo piano argomentazioni di carattere europeo. Ma soprattutto sono temi che ben prima del «caso Zara» avevano suscitato la reazione croata. Tanto che l'Italia avrebbe gradito che il trattato venisse sottoscritto proprio a Zagabria in occasione della visita del Presidente Ciampi. Se ne era parlato proprio alla vigilia dell'arrivo del Capo dello Stato. Ma il «no» della Croazia era stato categorico. Dunque, paradossalmente, il «caso Zara» ha facilitato il compito croato, in quanto è diventato un buon appiglio perchè Zagabria potesse opporsi alla linea con cui Roma ha impostato l'accordo di cooperazione. E dopo nove anni bisogna ricominciare. Ma stavolta il campo d'azione è ben delineato. Zagabria, firmando domani il trattato di associazione all'Ue, sa che d'ora in avanti dovrà rigorosamente ragionare in termini comunitari.

Mauro Manzin