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Il Messaggero Veneto 11-09-2001

Poste, assunzioni in Friuli

Passera annuncia: «Non taglieremo uffici in alcun comune del Nord-Est»

di PAOLO POSSAMAI

VENEZIA – Restituire dignità a quel bizzarro pezzo di ministero chiamato poste italiane. E in pari tempo rimetterne in ordine i bilanci. A Corrado Passera nella primavera del 1998 fu affidata una missione (quasi) impossibile. Oggi può permettersi un sorriso quando pensa ai dati della semestrale 2001 e di contare sull’appoggio anche da parte dell’attuale governo.

«Già nella prima metà di quest’anno – dice l’amministratore delegato delle poste – il risultato operativo netto è stato positivo. Possiamo confermare che, in linea con il piano d’impresa, per la prima volta nella storia delle poste italiane, è possibile raggiungere il pareggio o un leggero utile di bilancio già nel 2002. Ricordo che nel ’98 i ricavi ammontavano a 11.644 miliardi, saliti a 13.256 miliardi nell’esercizio scorso e che allora il margine operativo lordo è stato positivo per 555 miliardi».

Andreotti sosteneva che riformare le ferrovie dello stato era operazione irrealistica. Avrebbe forse potuto dirlo anche per le poste. Come avete vinto questa sfida?

«Proprietà e management avevano rinunciato a condurre davvero le poste, dove un po’ tutti e la politica soprattutto avevano voce in capitolo. Quando siamo stati chiamati dall’allora premier Prodi, dai ministri Ciampi e Maccanico, la situazione era drasticamente negativa quanto al servizio reso ai cittadini, molto critica quanto agli aspetti economici e finanziari, fuori dalle nuove tecnologie. Per un momento abbiamo temuto di essere arrivati troppo tardi. Un’azienda che perde strutturalmente più di 2 mila miliardi l’anno è destinata a morire. In effetti non si trattava propriamente di un’azienda, perchè mancavano i principi basilari di un’ azienda: responsabilità precise e strumenti per operare, che abbiamo posto a fondamento della nostra azione. La squadra delle poste è oggi uno dei migliori team manageriali in Italia. Conducendo più di un milione di giornate di formazione e avendone in programma quasi altrettante, abbiamo ricostruito dalle basi l’organizzazione, creando competenze e posizioni prima insufficienti soprattutto nel marketing e nelle tecnologie».

E in termini infrastrutturali quali interventi avete attuato?

«Poste italiane non aveva una rete in senso moderno. I 14 mila uffici postali erano di fatto separati fra loro. Oggi le 60 mila postazioni di lavoro costituiscono di fatto la più grande rete italiana. La dotazione tecnologica riguarda anche i sistemi logistici e di smistamento, tutti radicalmente rinnovati. Il numero degli sportelli è rimasto pressochè invariato, ma alcuni ne abbiamo chiusi e altri ne abbiamo aperti. Abbiamo abbandonato sedi non più funzionali, vendendo immobili solo nel corso del 2000 per circa 300 miliardi, per finanziare i quasi 1.000 miliardi di investimento che effettuiamo all’anno. Della ristrutturazione degli sportelli i clienti si sono già resi conto. Per accelerare lo sviluppo abbiamo acquisito il corriere Sda, comprato il marchio Mototaxi e ricomprato integralmente Postel, acquisito partecipazioni in aziende di logistica e trasporti, impiantato alleanze a livello internazionale. Anche queste attività rientrano in un piano di investimenti complessivi per circa 5 mila miliardi, che abbiamo condotto e conduciamo abbinandolo a un grande rigore nella spesa».

La razionalizzazione dei conti può implicare la chiusura di uffici postali nei piccoli comuni?

«Anche nel prossimo piano d’impresa posso anticipare che non toglieremo a nessun comune l’ufficio postale. Si tratta di una scelta attuata da quasi nessun’altra posta europea. È una scelta onerosa, ma siamo anche persuasi che la capillarità sia uno dei fattori di successo di poste italiane. Nel Friuli, per esempio, disponiamo di circa 372 uffici, a fronte delle 802 agenzie del sistema bancario. Ma le banche lasciano scoperto il 30% dei comuni».

Il prossimo piano, quanto ai lavoratori dipendenti, cosa prevede in termini di numeri?

«Tre anni fa i lavoratori erano oltre 180.000, oggi sono circa 15.000 di meno. Ma siamo riusciti a raggiungere questo obiettivo senza operazioni traumatiche, e anche nel 2001 potremo evitare se tutti faranno la loro parte licenziamenti collettivi. Ma come è noto ereditiamo una dislocazione di personale alquanto squilibrata sul territorio. Vi sono aree, per esempio il Nord-Est, che soffrono nel recapito di carenza di personale. Già nell’anno venturo, appena avremo completato le operazioni di mobilità interna, su cui stiamo lavorando, fra Veneto, Friuli e Trentino-Alto Adige procederemo a un piano di assunzioni. Del resto il Nord-Est è un’area di primario interesse per noi, sulla quale contiamo molto per il rilancio nella crescita e nello sviluppo di nuovi prodotti. Già oggi il Nordest pesa più del 10% nel volume delle nostre attività».

Avete in programma nuovi prodotti?

«Uno dei fattori di risanamento di poste italiane è consistito nella messa a punto di una serie di nuovi prodotti, affiancati alla riqualificazione dei servizi tradizionali. A breve la divisione bancoposta, per esempio, che ha molto arricchito negli ultimi 19 mesi l’offerta di prodotti, registrando un milione e mezzo di nuovi conti correnti, da questo mese si presenterà anche con una nuova offerta per le imprese».

Vale a dire che rinnovate la competizione con il sistema bancario.

«Lo sviluppo di prodotti quali prestiti personali, mutui, fondi di investimento, conti correnti ha senz’altro determinato una benefica concorrenza con il sistema bancario. Ritengo ne abbiano beneficiato i cittadini. E non è avvenuto solo un trasferimento di clienti dalle banche verso di noi, ma anche un allargamento del mercato. Postevita, per esempio, ha raccolto oltre 5 mila miliardi di polizze vita, andando a interessare ambiti di mercato precedentemente non coinvolti in queste forme di investimento e quindi allargando il mercato complessivo».

Sulla base dei risultati acquisiti, ritiene che le poste siano prossime alla privatizzazione?

«Tale livello decisionale chiama in causa l’azionista, che è il ministero del Tesoro al 100%. Noi stiamo lavorando per garantire un servizio di qualità allineato a standard europei e insieme per risanare i bilanci, in modo che la quotazione in Borsa sia una opzione. I risultati, come ci confermano i bilanci e tutti gli istituti di rilevamento, sono in via di conseguimento. Dobbiamo ora costruire con l’azionista il nuovo piano d’ impresa».

Al cambio di governo, molti manager di aziende controllate dallo stato hanno ritenuto di dimettersi, altri sono in predicato di essere sostituiti. Quale la sua attitudine al riguardo?

«Voglio arrivare in fondo a questo lavoro e sono convinto che lo voglia anche il nuovo governo. Il lavoro è largamente impostato e chiaramente nella direzione giusta. Si tratta di portare a completamento i processi di rinnovamento incardinati in questi tre anni, smentendo quanti ritenevano che le poste non avessero chances di rilancio. Parecchie erano voci interessate, perchè lasciare le poste nello stato in cui erano, dove ognuno faceva più o meno quel che gli pareva, era interesse di molti».