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Il Piccolo 11-10-2001

Inedita alleanza in difesa della legge che vent'anni fa sancì l'apertura dei manicomi e che Forza Italia e Lega vogliono riformare

«La 180 non si tocca». Psichiatri e familiari d'accordo

Giuseppe Dell'Acqua: «I servizi di salute mentale sono operativi ovunque, si tratta di migliorare»

«La 180 non è un dogma. Ma l'impianto generale e i principi su cui si fonda la legge di riforma dell'assistenza psichiatrica vanno salvaguardati a tutti i costi. Garantendo alle persone affette da disturbo mentale il diritto all'eguaglianza e alla cittadinanza: la possibilità di accedere alle cure, di pensare alla guarigione, di vivere e agire nella comunità». La difesa della 180 ­ la legge che vent'anni fa sancì l'apertura dei manicomi e la nascita dei servizi sul territorio e che oggi viene messa in discussione da due progetti di legge presentati da Forza Italia e dalla Lega ­ prende il via da uno dei luoghi simbolo della riforma psichiatrica: il padiglione M del comprensorio San Giovanni, un tempo ricovero di malati, oggi sede di cooperative sociali, laboratori e corsi di formazione dedicati alle persone affette da sofferenza psichica.

Non è un caso. E forse è scontato che a parlare ieri mattina ­ in occasione di un incontro promosso a margine di un corso di formazione nazionale rivolto alle associazioni dei familiari sia Giuseppe Dell'Acqua, oggi responsabile del Dipartimento di salute mentale, vent'anni fa al fianco di Franco Basaglia. La novità è un'altra. Ed è che dalla parte della 180, questa volta scendono in campo due partner d'eccezione: le famiglie dei malati, rappresentati da Ernesto Muggia, presidente dell'Unasam (l'Unione delle associazioni dei familiari che conta rappresentanze in tutte le regioni) e la quasi totalità degli psichiatri italiani, rappresentati da Mario Maj, direttore dell'Istituto di psichiatria di Napoli e presidente della Società italiana di psichiatria.

Salvaguardare la 180, dice infatti Dell'Acqua, non significa affatto affermare che l'assistenza psichiatrica funziona al meglio in tutto il Paese. «È indubbio che i livelli di sviluppo e di rinnovamento dei servizi di salute mentale sono differenti nelel diverse regioni. Vi sono dei punti di grave criticità e siamo consapevoli del fatto che in molte circostanze i familiari dei malati vengono sovraccaricati». «Ma difendere la legge di riforma ­ sottolinea ­ significa prendere atto di questa situazione. In questi vent'anni abbiamo assistito a un cambiamento radicale: i servizi di salute mentale sono operativi ovunque mentre il numero degli psichiatri addetti è passato dalla metà degli anni '70 a oggi, da poco più di 700 a 7 mila».

Si tratta dunque di correggere, di migliorare, non di mettere in discussione i fondamenti della riforma. «Abbiamo già uno strumento a disposizione per innescare ulteriori trasformazioni, e il progetto obiettivo obiettivo per la salute mentale. Se non è sufficiente interveniamo su questo fronte, non sulla legge». «La 180 ­ ribadisce Mario Maj ­ viene spesso percepita come un mito, da difendere o da abbattere. Ma non dimentichiamo che si tratta di una legge quadro che fissa alcuni principi, lasciando poi alle singole regioni il compito di definire i contenuto organizzativi: l'articolazione dei dipartimenti, dei centri di salute mentale o delle residenze. Il dibattito appena iniziato alla commissione affari sociali e sanità della Camera si concentra in realtà contro un falso bersaglio, perché l'oggetto del contendere sono proprio i contenuti». Ed è giusto, dice il professor Maj, discutere del dimensionamento delle residenze (che nella nuova proposta passano da 20 a 50 posti), dell'ingresso dei privati nella gestione della salute mentale dei trattamenti sanitari obbligatori. Ma con grande attenzione, perché la materia è densa e complessa.

«Le nuove proposte di legge ­ commenta Ernesto Muggia ­ nascono in realtà da un discorso politico. Sappiamo che le residenze devono essere piccole per non divenire dei manicomietti. Sappiamo che il ricorso al trattamento obbligatorio diminuisce notevolmente, se i servizi territoriali funzionano. Ed è chiaro che la salute mentale non può essere affidata, senza alcun controllo, a soggetti privati». «Concentrarsi, come fanno i due progetti legislativi, sulle strutture, sull'istituzionalizzazione, e sui trattamenti obbligatori ­ conclude ­ vuol dire rilanciare delle prospettive segreganti, che non soddisfano le necessità dei malati, ma il bisogno di sicurezza di un'opinione pubblica, che è un bisogno innegabile a cui vorremmo dare però una risposta diversa».

Da parte loro le associazioni di familiari Diapsigra e Arap precisano di non essere state invitate all'incontro di ieri. «Ognuno è padrone di discutere di quello che vuole o con chi vuole - sostengono Bruna Cerni e Bruno Zecchini - solo che non si tratta di "associazioni di familiari", ma di una sola associazione di familiari, oltretutto molto ben caratterizzata ideologicamente»

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