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Il Piccolo 09-11-2001

Italia-Croazia: l'intesa al vaglio del governo

Il vicepremier Fini vuole comunque chiedere il rispetto del diritto degli esuli a riavere i beni

ROMA - Italia e Croazia hanno scritto il dopo Osimo. O meglio, le diplomazie hanno redatto il testo del Trattato di cooperazione che è nelle intenzioni del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e del premier Ivica Racan firmare a Trieste, a margine del vertice Ince, il prossimo 23 novembre. La parola passa ora ai rispettivi governi. E, in quello italiano, le posizioni sono tutt'altro che univoche, con il vicepremier Gianfranco Fini deciso a chiedere comunque il rispetto del diritto degli esuli a riottenere, ove possibile, i beni abbandonati. E tutto diventa una questione nazionale, una spinosa questione di governo e di equilibri al suo interno. Mercoledì il ministero degli Esteri croato annuncia: l'accordo è cosa fatta. Ma questa è una vicenda intorcigliata. Tanto che, 24 ore dopo, la Farnesina mette i puntini sulle «i». Un testo c'è, ma devono vagliarlo i governi. Nessun comunicato però, come aveva fatto Zagabria. Solo l'inesorabile stillicidio delle indiscrezioni che annunciano un incontro Ruggiero-esuli il prossimo 19 novembre a Roma. Riunioni-fiume alla Farnesina, toni accesi all'interno del governo, mosse e contromosse, silenzi tattici, fughe in avanti, retromarce, lettere: c'è un po' di tutto dietro il contenzioso tra Italia e Croazia sul Trattato di cooperazione. E, come trapela da Roma in queste ore, il tormentone continua.

Questa storia infinita si apre lunedì 10 settembre del 2001. Alla Farnesina il ministro degli Esteri Renato Ruggiero incontra il vicepremier Gianfranco Fini. All'ordine del giorno c'è la missione a Lubiana e Zagabria che il responsabile della nostra diplomazia ha in agenda per il giorno successivo. Fini sdogana la Slovenia in Europa. Stessa sorte per la Croazia ma... Sì c'è un «ma». Perché è proprio come conseguenza di quel «ma» che prende forma la strategia che porterà l'Italia a chiedere a Slovenia e Croazia di rispettare il principio di non discriminazione nei processi di denazionalizzazione. A Lubiana l'istanza italiana rende gelido l'incontro tra Ruggiero e il premier Janez Drnovsek e rovina la colazione di lavoro al ministro degli Esteri, Dimitrij Rupel. A Zagabria, un mese più tardi (nel frattempo c'è stato l'11 settembre), fa scattare più direttamente il «niet» al Trattato di cooperazione, dove la richiesta italiana è stata formalizzata nell'articolo 9. Un «no» a cui si arriva per gradi.

Prima il sottosegretario agli Esteri, Roberto Antonione va a Zagabria. È l'1 ottobre. Si parla della visita del Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi in agenda il 9 e 10 ottobre. Ma si parla anche del Trattato di cooperazione. L'Italia fa pressioni perché si firmi. Magari proprio a Zagabria il 9 ottobre. Zagabria frena. Ma già l'ala socialiberale del governo croato (che ammicca alle derive nazionaliste dell'Hdz, l'ex partito di Tudjman oggi all'opposizione), nella persona del vice ministro agli Esteri, signora Vesna Cvjetkovic-Kurelec fa capire che quell'articolo 9, così com'è scritto, è inaccettabile. Nulla però trapela, tutto resta nei «sancta sanctorum» diplomatici.

Il 9 ottobre Ruggiero vede il suo collega croato Tonino Picula a Zagabria, ma, soprattutto, Ciampi abbraccia il Capo dello Stato, Stipe Mesic. Tra strette di mano e sorrisi tutto sembra superato. È Ciampi stesso che dà l' annuncio dell'imminente firma del Trattato di cooperazione e amicizia. Passano però solo 24 ore dalla partenza di Ciampi dalla Croazia e tutto torna in alto mare, perché Zagabria comunica a Roma che quel trattato così com'è, con quell'articolo 9, non lo vuole firmare. Ancora una volta nulla trapela. Fino a quando non compare la notizia del conferimento da parte del Quirinale della Medaglia d'oro al valor militare all'ultima amministrazione italiana di Zara. La Croazia non perde l'«occasione». Si offende e rompe le trattative in corso sul Trattato di cooperazione. È il 25 ottobre.

La Farnesina resta in silenzio. La politica italiana anche, ma non resta con le mani in mano. In una riunione di governo si parla dei dossier Croazia e Slovenia e tra il vicepremier Fini e il premier Berlusconi non c'è sintonia. Al punto che lo stesso Fini prende carta e calamaio e scrive una lettera a Berlusconi comunicandogli formalmente che, come concordato (nella riunione del 10 settembre alla Farnesina), nulla sarà deciso o firmato (con Zagabria) in assenza di un consulto con le associazioni degli esuli. Nel frattempo il ministro Picula telefona a Ruggiero (lo stesso fa il Capo dello Stato Mesic con il Presidente Ciampi per il «caso Zara») e tra Italia e Croazia torna il sereno. Si ricomincia a trattare. E martedì scorso un nuovo testo del Trattato prende forma in una riunione bilaterale alla Farnesina. Per Zagabria è fatta. L'Italia accetta il pagamento dei 35 milioni di dollari derivanti dagli Accordi di Roma del 1983, mentre il principio di non discriminazione viene assorbito dagli obblighi assunti dalla Croazia con la firma dell'associazione all'Ue.

Tutto risolto? Non proprio. Fonti diplomatiche italiane dicono che un testo preciso e definitivo non c'è ancora. Eppoi manca il placet del governo. E Ruggiero ha ora fissato per lunedì 19 novembre un incontro a Roma con gli esuli. Scatta la «clausola Fini».

Perché su tutto torna quella fatidica riunione del 10 settembre alla Farnesina, da cui è scaturita la linea ufficiale del governo italiano nei confronti di Lubiana e Zagabria. Linea fortemente voluta proprio dal vicepremier e rimarcata con la missiva a Berlusconi. Linea che chiede che nell'ambito della denazionalizzazione Lubiana e Zagabria riconoscano il diritto agli esuli di riavere, ove possibile, la restituzione di eventuali beni nello spirito di quell'Europa cui entrambe aspirano. E così il Trattato resta lì, tra color che sono sospesi. Tra l'ottimismo croato e il pragmatismo italiano. E se si firmerà a Trieste, in occasione del vertice Ince, lo si saprà solo dopo il 19 novembre.

Mauro Manzin