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Il Messaggero Veneto 19-02-2002

Un'indagine demoscopica fotografa il tramonto di miti come il "Grande Friuli" o delle ipotesi di divisione regionale

Friulani e veneti: o lavoriamo insieme o affondiamo

PORDENONE - Per vie carsiche, sotterranee e misteriose, sono cambiati in questi ultimissimi anni il modo di "pensare la regione", da parte dei suoi cittadini, e la maniera di confrontarsi con l'esterno, in particolare con il Veneto. Rispetto a ieri, non solo le distanze si sono accorciate; non solo è emersa una percezione comune rispetto a problemi sui quali le opinioni e le interpretazioni erano diversissime pochi anni fa, ma si è affermata una crescente consapevolezza che cooperazione e capacità di stare insieme sono valori più importanti della stessa autonomia. Questa rivoluzione è stata accertata da un'indagine demoscopica realizzata dalla Tolomeo Studi e Ricerche srl e curata dal professor Paolo Feltrin, dell'Università di Trieste , che la presenterà quest'oggi all'assemblea dell'Unindustria a Pordenone il cui tema, non a caso, si pone sulla stessa lunghezza d'onda: «Friuli Venezia Giulia e Veneto insieme per un'agenda di obiettivi».

«La rilevazione coglie - afferma il professor Feltrin - l'emergere di un'opinione comune sia su quanto viene avvertito come valore, sia come problema». Eventuali differenze, marginali, riguardano la maggiore o minore accentuazione di situazioni più che il divergere di sensibilità. L'emergenza viabilità, per esempio, è più sentita in Veneto che in Friuli, dove invece si dà più importanza all'export verso i Paesi dell'Est come condizione dello sviluppo locale. Dal canto loro i veneti giudicano più critico lo stato dell'immigrazione rispetto ai friulani. Ma si tratta, in ogni caso, di sfumature.

Un cambiamento comune riguarda il ruolo crescente attribuito al governo regionale, ritenuto più importante ed efficiente del Comune. Rispetto a pochi anni fa, quando il movimento dei sindaci scandiva l'evolvere della vita politica, è una rivoluzione copernicana. Il 53% dei cittadini dell'intera area non ha dubbi, infatti, né sul primato della Regione né sulla sua capacità di risolvere i problemi. «È avvenuto - spiega Feltrin - sicuramente per ragioni di diversa visibilità; ma anche perché si è andata appannando la nozione di "centralismo" regionale, così come rappresentato e denunciato dal movimento dei sindaci. Questo significa che l'interesse della gente si è spostato dalle piccole alle grandi realtà e sottintende una disponibilità a cogliere le opportunità comuni e perciò un'inclinazione a lavorare insieme». L'altra novità, conseguenza di questa "mutazione" avvenuta nella società regionale, ma specularmente anche nel Veneto, è che «non ci si guarda più in cagnesco». Da parte friulana, insomma, sembra tramontato l'antico pregiudizio contro Venezia "dominante". Sono divenute più omogenee anche le identità territoriali di riferimento, nel senso che sono generalmente condivise tra friulani e veneti (il NordEst, per esempio, è scelto come primo ambito territoriale dal 16% del campione). Come non bastasse, l'80% dei residenti nelle due regioni ritiene che vi siano più elementi in comune che specificità e differenziazioni.

Feltrin giudica altrettanto significativo il fatto che da ambedue le parti non si vogliano cambiare i confini, «Portogruaro compresa». «Anche questa è una piccola rivoluzione. Appena pochi anni fa - osserva il docente trevigiano dell'Università di Trieste - il 30% dei friulani giudicava più corrispondente ai suoi interessi la divisione della regione in due entità. Oggi questa percentuale è precipitata al 10%». Vuol dire - commenta il professore - che i friulani si sono messi alle spalle sia l'ipotesi di una "secessione" dalla componente territoriale giuliana, sia la prospettiva (per certi versi analoga) del "Grande Friuli".

«L'indagine rimarca infine - spiega Feltrin - l'opportunità di forme di "governance" concertata a livello strategico tra le istituzioni esistenti. Il 90% dei veneti e l'83% dei friulani e giuliani ritengono che Veneto e Friuli abbiano caratteristiche e problemi uguali, per cui giudicano necessario avviare delle forti alleanze tra le due Regioni, per contare di più in Italia e in Europa». Il messaggio della rilevazione è univoco come lo è il suo assunto: «O lavoriamo insieme o affondiamo», così lo traduce il professore. «È un messaggio forte - è la sua prima conclusione - mandato dalla società nel suo complesso alle classi dirigenti delle due regioni». La seconda, forse ancora più importante, è che il cambiamento di mentalità accertato mette a disposizione delle istituzioni nuove risorse di consenso per una politica concordata di approccio ai grandi temi dello sviluppo.