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Il Messaggero Veneto 09-03-2002

L'aumento da 164 a 219 milioni di euro dovuto per 39 milioni alla lievitazione delle prescrizioni

Farmaci, sfondato il tetto di spesa

Oltre il 13% previsto. L'azienda più virtuosa è stata quella della Bassa friulana

TRIESTE - Nel 2001 la spesa per l'erogazione di farmaci agli assistiti del Friuli Venezia Giulia (1 milione 185 mila abitanti) ha toccato la cifra record di 219 milioni di euro con un aumento di quasi 55 milioni (pari al 34 per cento) rispetto ai 164 milioni del 2000. Supera quindi il tetto del 13% della spesa sanitaria, limite posto a carico del Servizio sanitario regionale a partire dal 2002, per cui è facile ipotizzare che nel corso dell'anno, a meno di provvedimenti di tipo straordinario, s'imporranno provvedimenti restrittivi necessari ad assicurarne il rientro. L'incremento è dovuto per 34 milioni di euro (22%) alla lievitazione delle prescrizioni e per 16 milioni (12%) alla soppressione, a partire dall'inizio dell'anno scorso, dei ticket sulle ricette. Dal mese di settembre tuttavia, con l'entrata in vigore del decreto 347 contenente «interventi urgenti» in materia di sanità, si è notata un'inversione di tendenza, come dimostra il progressivo rallentamento del livello di crescita: 38 per cento a fine giugno, 37 a fine settembre, 34 al 31 dicembre 2001. Tra le sei aziende della regione, la più virtuosa è stata la 5 Bassa Friulana, che è riuscita a contenere la lievitazione delle prescrizioni entro il 18,9%, mentre la più onerosa è stata la 2 Isontina con un balzo del 25,4%.

Nel corso del 2001 vi è stato un susseguirsi di disposizioni legislative che hanno avuto ampi riflessi sulla spesa per medicinali, tanto in senso restrittivo quanto espansivo. Dal primo gennaio, per volontà del legislatore nazionale, i ticket sulle ricette (1,5 e 3 euro) non sono stati più richiesti dalle farmacie quale quota di compartecipazione alla spesa sanitaria. Dal successivo primo luglio è stata abolita la fascia B dei farmaci (per i quali era richiesto un contributo del 50% sul prezzo di listino), e i prodotti in essa inclusi sono stati collocati (in relazione alla loro rilevanza terapeutica) parte in fascia A (totalmente gratuiti), parte in C (a completo carico).

La stessa legge ha previsto inoltre, da settembre, un diverso criterio di rimborso dei prodotti di classe A, nel presupposto che, a parità di "principio attivo" (cioè di contenuti curativi), sarebbero stati interamente mutuabili solo quelli "generici", notoriamente meno costosi di quelli muniti di brevetto (scaduto), più noti e richiesti ma di identica efficacia.

Tutto questo non è però bastato a contenere la spesa entro il tetto fatidico del 13 per cento. Ed allora il Governo è nuovamente intervenuto, il 14 settembre 2001, con il decreto 347, che impegna medici e farmacisti a somministrare (a parità di molecola) il farmaco con il prezzo più basso, salvo richiedere al cittadino (nel caso di pretesa diversa) il pagamento di tasca propria della differenza tra il prezzo del prodotto da lui voluto e quello inferiore. Ma nemmeno quest'ultima misura è stata sufficiente. Così, dal 23 febbraio 2002, sono entrati in vigore i Lea, «Livelli essenziali di assistenza». Si tratta di un "prontuario" in cui sono elencate le prestazioni riconosciute essenziali (e rimborsabili), e indirettamente escluse quelle non ritenute tali. Sull'eliminazione dalla lista di alcune tipologie, come la chirurgia estetica e la circoncisione maschile, non c'è molto da obiettare. Qualche riserva sorge invece di fronte alla cancellazione di altre prestazioni, come ad esempio quelle di fisioterapia ambulatoriale, e soprattutto quelle riguardanti l'assistenza odontoiatrica (salvo che per minorenni), cui fanno ricorso le persone meno abbienti, non in grado di pagare le salate parcelle dei dentisti privati.

Dalla tabella riepilogativa riportata emergono, oltre ai volumi di spesa, altri dati di un certo rilievo (fino al 2001 espressi in lire). Innanzitutto la spesa pro capite: venuto meno il ticket, essa è esplosa, passando da una media di 267 mila lire nel 2000 a 357 mila nel 2001 (+34%). Pure il numero delle ricette ha fatto un bel balzo (+18%): da 6 milioni 389 mila sono passate a 7 milioni e mezzo: quasi una ricetta in più per ciascuno dei residenti in regione. E' lievitato di pari passo l'importo medio della ricetta, che da poco più di 47 mila lire è salita a quasi 54 mila. L'ultima colonna, riportante il numero delle ricette pro capite, non fa che confermare quanto detto, ovvero che nel 2001 ognuno di noi ne ha richiesta una in più: 6,4 contro 5,4. A detta degli esperti, la strada da battere per conseguire sostanziali economie di spesa è quella della prescrizione dei farmaci generici, tanto più ora che sono prossimi alla scadenza molti brevetti, a partire dalla "ranitidina" (ulcera), liberata fin dall'ottobre scorso. Attualmente in Italia essi non arrivano al 10 per cento, contro prescrizioni tre volte superiori in altri Paesi europei. Forme d'incentivazione monetaria nei confronti dei medici e dei farmacisti, legate al loro incremento (come avviene all'estero), non sono da scartare a priori. I principi attivi più prescritti riguardano, nell'ordine, il sistema cardiovascolare, l'apparato gastrointestinale, gli antimicrobici, il sistema respiratorio.

Abbondio Bevilacqua