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Il Piccolo 05-10-2001

IL CASO AV

In assemblea critiche della Regione all’operato dei vertici della spa. Si dimettono 6 consiglieri d’amministrazione su 12: troppo pochi per far cadere il presidente

Autovie, cda dimezzato. Ma Valori resta in sella

Società paralizzata. Oggi i «superstiti» si riuniscono a Palmanova. Tondo convoca la giunta per lunedì

TRIESTE - Né vinti né vincitori nella battaglia per le Autovie Venete. Ma brutte figure sì, in quantità. La vera, probabile sconfitta, in ultima analisi, potrebbbe essere la società stessa, che si è trovata il consiglio d ’amministrazione dimezzato e resta sospesa tra la lottizzazione a 360 gradi prefigurata dalla giunta Tondo e il progetto portato avanti con grinta da rinoceronte dal presidente Giancarlo Elia Valori. «Ve l’avevo detto, non avrei accettato personalismi... Ho fatto due privatizzazioni, io. E nel caso di Autovie Venete ho accettato di guidarle per spirito di servizio verso il Paese, lo Stato e il Nordest. E intendo andare avanti per la mia strada». Si accommiata così, il professore, dopo tre ore di assemblea perennemente sospesa tra un colpo di scena che non c’è stato e il nervosismo crescente dei referenti dell’azionista di maggioranza, la Regione Friuli-Venezia Giulia.

A porgergli la mano, lividi in volto, i sei consiglieri del cda di nomina politica, ai quali l’arma delle dimissioni è scoppiata in mano. Lo sguardo un po’ allibito, l’espressione interrogativa, Michele Baldassi, Doriano Battistel e Luigi Tomat (scelti dalla Lega Nord), Giuseppe Esposito e Luciano Zanotto (indicati da Forza Italia) depongono nelle mani del presidente del collegio sindacale le lettere contenenti la loro scelta di dare forfait, oggetto di defatiganti riunioni politiche negli ultimi giorni. Il solo Gastone Parigi, ex europarlamentare di An, li aveva preceduti, con un inaspettato «coup de theatre», annunciando pubblicamente la sua decisione già in assemblea «visto il venir meno della fiducia giuntale in questo cda» e ringraziando gli assessori di An insolitamente presenti, Ciani e Dressi, «ma non gli altri, quelli che non si sono presentati e hanno delegato la rappresentatività della Regione al solo direttore Baucero».

E come compattezza di maggioranza, non c’è male, tanto che il consigliere regionale dei Ds Mattassi ci si butta a pesce e già nel primo pomeriggio affida alle agenzie il testo di un’interrogazione nella quale chiede cosa ci facessero in quella sede i due assessori, «visto che non era un’assemblea pubblica» e se fossero presenti in assemblea con delega del presidente «per controllare l'operato di Baucero».

Dai due assessori ai due consiglieri. Quelli, sempre di area An, che hanno mandato per aria il castello di carte delle dimissioni frutto di «convinzione intima e personale» che avrebbe dovuto far implodere il cda. Una convinzione che, come è stato chiarito anche ieri non è tipica del veneto Lucchini e soprattutto dell’udinese Strisino. «Ritengo di aver lavorato bene, così come l’intero cda – ha ribadito ieri quest’ultimo, che è anche consigliere della Hypo Bank – e dunque non ho nessuna intenzione di dimettermi».

Ciononostante la situazione che si è venuta a creare è a dir poco paradossale. Il cda dimezzato, composto di soli sei componenti, si trova kafkianamente legittimato a restare in sella ma impossibilitato ad operare. Lo ha fatto capire il presidente del collegio sindacale, Fabrizio Rimassa, mentre i sei consiglieri uscenti stavano filosofeggiando sul significato da dare al concetto di «maggioranza degli amministratori», al quale ci si appella nel testo di diritto civile in merito ai motivi che possono far decadere l’organismo. Di cosa parlerà stamane a Palmanova questo cda, che ha all’ordine del giorno la spinosa questione della controllata «St», non si sa. Ma l’imbarazzo è totale, soprattutto tra i vertici regionali, tanto che il presidente Tondo ha allestito, sul tamburo, una riunione di giunta tutta incentrata sul caso Autovie per lunedì, lo stesso giorno al quale, tra i sospiri di sollievo generali, era stata rinviata l’assemblea.

In poco più di tre ore, comunque, sono state praticamente poste le basi dell ’ingovernabilità societaria e sdruciti rapporti pluridecennali col Veneto. «Imboccheremo, anche sotto il profilo amministrativo, le vie necessarie per tutelare i nostri diritti di soci di minoranza», ha detto l'assessore regionale veneto Renato Chisso, targato pure lui Casa delle libertà, per capirsi, di fronte a un cambiamento statutario che sacrifica gli esponenti della sua regione e i piccoli azionisti sull’altare della fame ormai irrefrenabile di poltrone dei partiti della nostra regione. Dove, detto per inciso, tornano d’attualità certi scricchiolii nella stessa maggioranza (l’ assessore Dressi, comunque, ormai ottimista ad honorem, ha parlato di «giunta non a rischio»). Il tutto, si badi bene, restando nel bel mezzo di un indecisionismo politico totale.

Un capolavoro, in tal senso, il discorso del direttore Baucero: mai, nel suo testo, che pure è partito mettendo all’indice «l’esemplare inerzia» nella realizzazione delle opere di potenziamento e miglioramento della viabilità» che avrebbe caratterizzato Autovie, è venuto fuori il discorso della «revoca» per Valori e per il suo consiglio. Forse Tondo e gli altri si aspettavano un «beau geste». Che, è certo, non arriverà. E siamo al paradosso finale, supremo. Il cda che perde i pezzi non può certo, invece perdere tempo. Il piano strategico di Valori (ne riferiamo a lato), pur passato quasi inosservato, impone velocità d’attuazione. In termini ipotetici, dunque, il professore (e non solo lui: vedere per credere l’ agitazione dei piccoli azionisti, Baudone in testa) potrebbe anche imputare alla giunta gli eventuali ritardi. O chiederle, possibilità non peregrina, di sostituire i consiglieri dimissionari! Degno finale di una storia nata male in partenza.

Furio Baldassi