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Il Messaggero Veneto 26-02-2002

Inquinamento: la regione sta scontando i ritardi. Il "caso Burgo" è solo la punta dell'iceberg

Acqua pulita, 500 milioni di euro

Li pagheranno i cittadini con l'aumento delle tariffe delle società di gestione

TRIESTE - La task force promessa da Tondo vigilerà sugli scarichi industriali, dunque. Ma il problema vero è un altro: quello dei 500 milioni di euro, un migliaio di miliardi, che servono per il risanamento delle acque del Friuli-Venezia Giulia. E che dovranno essere pagati dai cittadini, attraverso le tariffe delle società di gestione. Non si tratta di fantasie apocalittiche, perché le stime venagono dalla direzione regionale dell'Ambiente.

«A Parigi e a Berlino oggi, un metro cubo d'acqua costa ottomila lire. Da noi mediamente mille lire. In Friuli-Venezia Giulia se non arriveremo a cifre del genere, in prospettiva potremmo attestarci tra le quattromila e le cinquemila lire», spiega il responsabile, ingegner Giorgio Verri. Che il "caso Tolmezzo" fosse la punta dell'iceberg, l'avevano detto in molti, nella riunione della commissione consiliare sui problemi della cartiera. E di fronte al preventivo appunto di mille miliardi buttato là da Gianfranco Moretton, capogruppo della Margherita, nessuno aveva fiatato. Ora politici e tecnici si confrontano su scenari di enorme problematicità, a causa delle nuove norme nazionali ed europee, ma anche dei ritardi della Regione. Il Friuli-Venezia Giulia, ad esempio, è tra le ultime Regioni che non hanno recepito la legge Galli sulle acque, del '96. E deve ancora adeguare il proprio sistema legislativo al decreto 152/99. Due leggi che, combinandosi con l'intenzione dell'Ue di rendere l'Alto Adriatico area marina sensibile, faranno lievitare all'improvviso gli oneri per i cittadini e per le imprese.

L'ultimo piano di risanamento delle acque risale all'applicazione della Legge Merli, coeva del terremoto. Nel '91 l'ultima giunta Biasutti aveva poi fatto condurre una ricerca, portata a termine nel '94 dallo studio Capella, con un progetto di legge che definiva un nuovo piano di risanamento, legge poi mai discussa o adottata. Posto che la normativa nazionale consentiva, nelle more, di procedere con il vecchio piano. E anche che il quadro politico era piuttosto agitato (era iniziata la legislatura dei cinque presidenti). Neanche nei quattro anni successivi, però, non si è fatto nulla. Ora si tratta di dare attuazione anche in Friuli-Venezia Giulia al decreto legislativo 152/99 sulla qualità delle acque, e alla Legge Galli. Questa prevede che la gestione delle acque, nel loro ciclo completo di captazione, distribuzione e trattamento vada a gara e sia integralmente coperto dalle tariffe, senza interventi finanziari della mano pubblica. Però sta avanzando, a livello comunitario, l'idea di estensione all'intero Adriatico della condizione di area sensibile (attualmente lo è dalla foce dell'Adige in giù). «Potrebbe diventare operativo nel 2003. E questo vorrebbe dire rendere obbligatorio il ciclo biologico, il cosiddetto "secondario" per tutti gli scarichi regionali, in mare come nei fiumi. Attualmente non ce n'è nessuno, né grande né piccolo», avverte Verri.

E questi costi dovrebbero appunto venir coperti dalle tariffe Paolo Ciani, assessore regionale all'Ambiente, cerca di mostrare un certo ottimismo. «Le nostre acque marine sono buone, lo attestano tutti i rilievi, è questo è un primo dato da non dimenticare. Il problema però è che le norme cambiano», dice. «Il dato dei mille miliardi per l'adeguamento, a spanne, è credibile. Ed è chiaro che, chiunque si aggiudichi la gestione del servizio, quei soldi li dovranno pagare gli utenti. Però si potrebbero spalmare su un project financing ventennale, che farebbe aumentare le tariffe solo di alcune centinaia di lire al metro cubo». «Per gli impianti sopra i 15 mila abitanti equivalenti (un dato che somma industria, popolazione e agricoltura insistenti su un medesimo depuratore ndr) siamo già fuori legge dal dicembre 2000. Per quelli più piccoli, che sono la maggioranza, abbiamo fortunatamente tempo sino al 2005», prosegue Ciani.

E aggiunge che la responsabilità diretta non è di competenza regionale. «Autorizzazioni e controlli sugli scarichi, per legge, spettano alle Province. Che hanno predisposto dei piani stralcio con le loro urgenze. A decidere dovrebbero essere le autorità d'ambito, previste dalla Legge Galli, legge che però il Friuli-Venezia Giulia non ha ancora recepito. In loro assenza, le Province, o, in sostituzione, la Regione». Quadro complesso, oneroso, e delicatissimo, anche per le responsabilità giudiziarie connesse, come ha evidenziato il caso di Tolmezzo. Occorrerà muoversi, al più presto, muoversi sul versante legislativo come sul quello tecnico. Vedremo, in vista delle prossime elezioni amministrative, e di quelle regionali, solo un po' più lontane, quali strategie verranno messe in atto dalle amministrazioni.

Luciano Santin