L'ultima parola deve spettare sempre al paziente

Da "Il Gazzettino" - 16/02/2007

(cdm) «L'ultima parola deve spettare sempre al paziente, perché nessun altro può decidere per lui del bene personalissimo "vita"». Risponde così Beppino Englaro ai medici friulani che rivendicano il diritto all'obiezione di coscienza di fronte alla volontà del paziente che chiede l'interruzione delle cure. E la sua è la voce di un padre che da 15 anni lotta per «restituire la libertà» a sua figlia, Eluana, «che si trova in uno stato di morte personale da quasi 5mila 500 giorni: da quando, il 18 gennaio del 1992 si è schiantata in auto contro il muro ed è entrata in uno stato vegetativo permanente, non ha nessuna percezione di sè e del mondo.

Dipende in tutto da mani altrui, che la lavano, la muovono, la nutrono attraverso un sondino naso-gastrico». Quel sondino che Beppino, nato e cresciuto a Paluzza, per sette volte ha chiesto ai giudici di staccare e per sette volte si è sentito rispondere di no. Ma ora ci proverà di nuovo. Per l'ottava volta. «Nel giro delle prossime due settimane, assieme ai miei avvocati, concluderò il ricorso contro la sentenza della Corte d'appello di Milano per presentarlo alla Cassazione», dice il papà di Eluana, che domani alle 18 sarà ospite all'Hotel Là di Moret alle Udine per un incontro organizzato dai Radicali. «C'è un dualismo medico-paziente: il paziente capace di intendere e di volere può rifiutare qualsiasi cura e il medico non può imporgliela.

Il consenso informato è un diritto acquisito del cittadino e nessuno può opporre l'obiezione di coscienza: non vedo perché ora l'Ordine udinese solleva questa obiezione quando non l'ha fatto sul consenso informato». L'Ordine dice che, senza il diritto ad astenersi, il medico diventerebbe un cittadino di serie B? «Non è questione di essere cittadini di serie "A" o di serie "B".

Il paziente è l'ultimo che deve decidere sulla sua vita, sempre. I medici dicono: allora cosa cosa ci stiamo a fare noi? Il loro lavoro ha senso quando c'è l'alleanza terapeutica con il paziente». E Beppino, che dal '97 è divenuto tutore di sua figlia proprio per poter dar voce ad Eluana, lo sa bene. «Il caso di mia figlia è emblematico: non possiamo lasciare che altri dispongano di vite altrui. Le sette sentenze dicono proprio questo. Ma se il testamento biologico non consente di estendere il consenso informato anche alle persone che, come mia figlia, non hanno più voce, non ha senso».