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Conferenza Stampa 17-10-2003

Il nostro programma sulla giustizia.

Resoconto della Conferenza Stampa di Venerdì 17 ottobre tenutasi presso il Caffè Tergesteo in presenza dell'europarlamentare Gianfranco Dell'Alba e di Christina Sponza

"Abolizione dell'obbligatorietà' dell'azione penale"

il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, contenuto nell'art. 112 della Costituzione della Repubblica italiana, pur astrattamente condivisibile, determina una serie di inevitabili e gravi conseguenze negative, che portarono l'unico altro paese europeo che lo prevedeva, oltre il nostro, la Germania, ad abolirlo a metà degli anni settanta.

In effetti l'elevatissimo numero di notitiae criminis che giungono quotidianamente alle Procure della Repubblica rende impossibile il perseguimento di ogni reato. Dietro la vigenza di questa norma finisce col celarsi quindi di fatto l'assoluta discrezionalità con cui ogni singolo pm decide quali reati perseguire, col risultato pratico di avere una altrettanto assoluta non uniformità nell'applicazione della legge sul territorio italiano e rilevanti difficoltà di perseguimento dei reati che per ambito territoriale superino la competenza della singola circoscrizione giudiziaria. La previsione in capo al Ministro Guardasigilli di un potere di indirizzo in materia di politica penale e l'attribuzione ad ogni Procuratore della Repubblica della responsabilita' di far rispettare all'interno del proprio ufficio l'indirizzo fissato, oltre a rimediare alle disfunzioni di cui sopra, avrebbe anche l'effetto di ricondurre al circuito della sovranità popolare - parlamentare la responsabilità politica dell'esercizio di un potere davvero importante per la sicurezza dei cittadini, sottraendola così all'arbitrio del singolo pm, che sarebbe così probabilmente tenuto anche a perseguire reati, come quelli di microcriminalità, altrimenti normalmente trascurati.

"Separazione delle carriere dei magistrati"

con questo disegno di legge di iniziativa popolare si intende eliminare una tra le più importanti anomalie e peculiarità dell'ordinamento giudiziario italiano rispetto a quelli di tutte le altre liberal-democrazie occidentali , e cioè la possibilità per il singolo magistrato di passare dalla funzione giudicante a quella requirente, così come attualmente stabilito dal R.D. 30 gennaio 1941, n.12.

Tale decreto prevede che i magistrati, a semplice domanda, e previo parere favorevole del Consiglio Superiore della Magistratura, possono indistintamente passare, nel corso della loro carriera, dall'esercizio di funzioni giudicanti (giudici) all'esercizio di funzioni requirenti (magistrati - non giudici - che svolgono le funzioni di pubblico ministero) e viceversa.

E', questa attuale, una normativa gravida di conseguenze negative per l'immagine e l'effettiva terzietà del giudice rispetto alle parti processuali, elemento quest'ultimo essenziale per la percezione della legittimità del procedimento giudiziario da parte di chi vi è coinvolto suo malgrado. Essa appare inoltre incoerente con il modello di processo accusatorio previsto dal CPP del 1989, e non appare adeguata ad assicurare la necessaria preparazione specifica per lo svolgimento di funzioni, quelle giudicanti e requirenti, per definizione profondamente diverse, e tali da richiedere una differente "forma mentis": garante, imparziale, terzo tra le parti il giudice; parte stessa del processo penale il pubblico ministero, che rappresenta l'accusa contro la difesa. Da questo punto di vista, è assolutamente impensabile che, da un giorno all'altro, chi ha combattuto il crimine da una parte della barricata si trasformi improvvisamente nel garante imparziale di chi criminale potrebbe non essere, pur essendo indagato o imputato da un ex collega di funzioni. Vietare quindi la possibilità di passaggi tra l'una e l'altra funzione è condizione essenziale per riequilibrare i poteri delle parti processuali e serve per restituire indipendenza e forza al giudice.

"Responsabilità civile dei magistrati"

l'obiettivo di questo disegno di legge di iniziativa popolare è quello di consentire al cittadino di ottenere dal magistrato il risarcimento dei danni che questi gli abbia eventualmente causato attraverso un comportamento doloso o gravemente colposo, o in caso di diniego di giustizia.

Da questo punto di vista, occorre ricordare che già nel 1987 si tenne un referendum (il cosiddetto "referendum Tortora") che mirava a far sì che il giudice che avesse arrecato - con dolo o colpa grave - un danno al cittadino, fosse tenuto a risponderne sul piano civile: si trattava, in sostanza, di abrogare gli articoli 55, 56 e 74 del Codice di procedura civile, che impedivano al magistrato di rispondere in sede civile dei suoi errori, come invece accadeva (e accade) per qualunque altro funzionario dello Stato. Oltre l'80% dei cittadini votò "sì", indicando chiaramente la volontà di chiamare a rispondere, ad esempio, i giudici che emanavano mandati di cattura clamorosamente sbagliati a causa di omonimie non controllate, o che ordinavano una carcerazione preventiva con leggerezza, o che, in base a vaghi sospetti, mettevano a repentaglio i più elementari diritti dei cittadini.

Subito dopo, però, il Parlamento (guidato dal terzetto DC-PCI-PSI) rapinò il risultato del referendum votando la cosiddetta "legge Vassalli" che travolse il principio stesso della responsabilità personale del magistrato, per affermando quello, opposto, della responsabilità dello Stato. La "legge Vassalli", infatti, prevede che il cittadino che abbia subito un danno ingiusto a causa di un atto doloso o gravemente colposo da parte di un magistrato non possa fargli direttamente causa, ma debba invece chiamare in giudizio lo Stato e chiedere ad esso il risarcimento del danno. Se poi il giudizio sarà positivo per il cittadino, allora sarà lo Stato a chiamare a sua volta in giudizio il magistrato, che, a quel punto, potrà rispondere in prima persona, ma solo - si badi - entro il limite di un terzo di annualità di stipendio. La legge Vassalli ha così raggiunto il suo scopo: ridurre al minimo le domande di risarcimento e ristabilire un regime di irresponsabilità per i magistrati. Attraverso l'approvazione di questo disegno di legge invece, si avrà la possibilità di chiamare in causa direttamente il magistrato che abbia errato dolosamente o per colpa grave.

"Riforma in senso uninominale e maggioritario del sistema elettorale del Consiglio Superiore della Magistratura.

l'obiettivo di questo disegno di legge di iniziativa popolare consiste nella abolizione del voto di lista per la elezione dei membri togati del CSM, e nell'introduzione del voto maggioritario uninominale a turno unico, per ottenere il risultato di "sganciare" l'elezione del candidato dall'appartenenza ad una corrente ed alla relativa lista, e di "legarla", invece, alle preferenze raccolte immediatamente e direttamente sul suo nome, in base al suo prestigio e alle sue capacità personali: in sostanza, si tratta di un primo e decisivo passo per sottrarre i rappresentanti dei magistrati alla lottizzazione correntocratica e per difendere la loro effettiva indipendenza e libertà di giudizio.

Da questo punto di vista, occorre ricordare che, secondo la Costituzione, il CSM è l'organo che deve garantire l'indipendenza della magistratura dai condizionamenti politici e partitici per tutto ciò che attiene alla sua organizzazione interna (carriere, trasferimenti, provvedimenti disciplinari, ecc.), e deve anche assicurare la professionalità del corpo togato. I due terzi dei suoi membri vengono eletti direttamente dai magistrati (membri togati), mentre il restante terzo viene eletto direttamente dal Parlamento (membri laici).

A partire dagli anni '60, però, in seno all'Associazione dei magistrati, nacquero correnti di diversa impostazione ideologica, che cominciarono a dotarsi di propri organi dirigenti, di uffici stampa, proprio come dei veri "partiti dei magistrati". Da quando, poi, nel 1975, il sistema elettorale dei membri togati del CSM (inizialmente uninominale maggioritario) fu trasformato in proporzionale, questi non sono più stati eletti perché stimati e rispettati dai colleghi per il loro prestigio, la loro professionalità e la loro preparazione, ma esclusivamente in quanto rappresentanti di questa o quella corrente, di questo o quel "partito dei magistrati": Magistratura Democratica, Unità per la Costituzione, Magistratura Indipendente, e così via. Ed il CSM, in pratica, è divenuto un vero e proprio parlamentino dei magistrati, con i diversi gruppi a confrontarsi, i capigruppo, le loro riunioni in separata sede: un organismo fortemente politicizzato, rispondente ad una ferrea logica corporativa, che si contrappone al Parlamento disputandogli la legittimità delle decisioni in materia di politica criminale, e straripando, con la politicizzazione del proprio ruolo, ben al di là del dettato costituzionale. Questo disegno di legge se approvato consentirebbe di sottrarre i magistrati alla lottizzazione delle correnti, consentirebbe l'elezione dei migliori e più preparati tra i candidati come membri del CSM, piuttosto che i rappresentanti di questa o quella corrente e, in ultima analisi, consentirebbe di rompere il nesso perverso, incostituzionale e a volte non trasparente, fra politica e magistratura, restituendo ad entrambe la necessaria autonomia.

"Riduzione dei termini di custodia cautelare. Semplificazione delle procedure in materia di libertà anticipata"

l'obiettivo di questo disegno di iniziativa popolare è innanzitutto quello di ridurre drasticamente i tempi di custodia cautelare in carcere in attesa del processo.

L'articolo 13 comma 5 della Costituzione riserva alla legge il compito di stabilire i limiti massimi della carcerazione preventiva; l'articolo 27 comma 2 della stessa Costituzione considera l'imputato "non colpevole" fino alla condanna definitiva; per giunta, lo stesso principio della presunzione di innocenza fino alla condanna definitiva -insieme al diritto ad un giusto e rapido processo- è ribadito da una serie di altre norme internazionali pattizie (articolo 6 della Convenzione Europea e articolo 14 numero 2 del Patto Internazionale) vincolanti per l'Italia.

Ne deriva che "la legge" a cui il citato articolo 13 comma 5 della Costituzione fa rinvio, nello stabilire i limiti massimi di custodia cautelare preventiva (prima cioè di qualsiasi condanna definitiva e ad accertamento giudiziario in corso), dovrebbe essere improntata ai principi appena richiamati, che impongono - innanzitutto al legislatore ordinario- delle precise regole di condotta, cioè, per l'appunto, delle scelte legislative conformi da un lato alla presunzione d'innocenza e dall'altro al diritto ad un giusto e rapido processo. A fronte di questa situazione, il Codice di procedura penale prevede invece la possibilità di dilatare i termini di custodia cautelare, per i reati più gravi, ma pur sempre in una situazione di presunta innocenza di un individuo, fino a nove anni, cioè fino a 108 mesi, fino a 3285 giorni...in attesa di una sentenza definitiva! Si tratta di una scelta assolutamente indegna per un qualsiasi paese che voglia dirsi civile: fino a nove anni di carcere, senza che vi sia stato un accertamento di colpevolezza con sentenza irrevocabile, e dunque con tutte le garanzie di forma e di sostanza del processo penale, che per sua stessa natura (oltre che per imposizione di norme sovraordinate) dovrebbe essere innanzitutto rapido.

E non a caso il 45,11 % della popolazione carceraria in Italia è in attesa di giudizio: un popolo di presunti innocenti, in custodia cautelare, "praticamente" a tempo indefinito. Questo disegno di legge di iniziativa popolare mira a porre rimedio a questa situazione imponendo dei termini massimi di un anno per i reati più gravi, dilatabili, in virtù di sospensioni di diversa natura, fino a due anni Sono previste inoltre modifiche all' art. 54 della legge 26 Luglio 1975, n.354, contenente norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure preventive e limitative della libertà, per migliorare le condizioni di vita e di sicurezza nelle carceri. Ogni anno i tribunali di sorveglianza riescono a evadere solo poche migliaia di pratiche riguardanti la liberazione anticipata dei detenuti, con altissimi costi in termini di risorse finanziarie ed economiche necessarie per assicurare la loro presenza fisica alle udienze, mentre decine di migliaia di istanze restano senza risposta. Se si considera la situazione di crescente sovraffollamento delle carceri italiane con i conseguenti problemi relativi alla vivibilità e al rispetto dei diritti umani dei detenuti, e il fatto che nel 1998 su 31.487 domande di liberazione anticipata, ne sono state accolte ben 23.827, si comprende l'importanza e l'utilità di rendere automatica la concessione del beneficio, ricorrendo al tribunale di sorveglianza solo nel caso in cui la direzione dell'istituto di pena segnali con relazione motivata la condotta negativa del detenuto. Si propone inoltre di aumentare da 45 a 60 i giorni di sconto di pena per ogni semestre, per rafforzare il "patto" di convivenza civile nelle prigioni, incentivare la buona e regolare condotta e l'adesione a tutte le opportunità risocializzanti che l'espiazione della pena offre, prendendosi al contempo cura della sicurezza delle decine di migliaia di operatori penitenziari che vivono quotidianamente a contatto coi detenuti, a rischio della propria incolumità





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